PER LA LIBERTA’ DEI CINQUE PRIGIONIERI POLITICI ACCUSATI SENZA PROVE PER IL MASSACRO DI CURUGUATY, PARAGUAY, IN SCIOPERO DELLA FAME DA OLTRE 50 GIORNI.
di Francesco Cecchini
L’ avvenimento risale al 15 giugno 2012, un battaglione della polizia fu inviato a Curuguaty con l’ordine di sgomberare un gruppo di contadini che occupavano la tenuta agricola Marina Cué chiedendo che fosse destinata alla riforma agraria, poiché al centro di un annoso conflitto tra lo Stato e la famiglia dell’imprenditore e senatore ‘colorado’ (conservatori, oggi di nuovo al governo, ndr) Blas N. Riquelme. Ne seguirono scontri con un bilancio di 17 morti – sei agenti e 11 contadini “senza terra” – sulla cui dinamica non è mai stata fatta finora chiarezza, avvenimento usato una settimana dopo per rimuovere l’allora presidente Fernando Lugo, l’ex vescovo di San Pedro giunto al governo con un’alleanza di centrosinistra, fatto eclatante e importante in un Paese come il Paraguay, da sempre soffocato da governi
ultra reazionari e interminabili dittature, quella di Strossner durò dal 15 agosto 1954 al 3 febbraio 1989. La destituzione di Lugo fu condannata dall’Unione delle altre nazioni sudamericane, che condannò il Paraguay, per la rottura dello Stato di diritto. Gli unici accusati per la strage sono i ‘campesinos’: undici di loro, da due anni in prigione preventiva, si dovranno presentare sul banco degli imputati il 26 giugno.
Il tribunale ieri, 9 marzo, ha deciso di non concedere ai contadini ormai in punto di morte ma fermi nella loro coraggiosa decisione gli arresti domiciliari, come richiesto da diverse organizzazioni della società civile paraguaiana e internazionale, anche in considerazione che si trovano incarcerati da 1 anno e 9 mesi senza che ci sia stato ancora un processo che ne abbia determinato o meno la colpevolezza, quindi, in stato di detenzione preventiva. Con questo chiediamo che si prendano le misure adeguate per evitare di avere altre vittime. Vogliamo rimanere vicini ai contadini e accompagnarli nella loro richiesta di avere giustizia. Felipe, Néstor,
Adalberto, Rubén e Arnaldo non hanno ucciso nessuno, così risulta da molte indagini. È stato un gruppo di banditi che ha organizzato un massacro di poliziotti e contadini. È dimostrato che è stato fatto per annichilire un governo che cominciava a servire i poveri. La storia ed il popolo paraguaiano giudicheranno.
Lettera da Barcellona di Fabricio Arnelia, militante per la libertà dei prigionieri politici per aver lottato, della Gioventù Comunista Paraguaiana e del Fronte Guasu. Un esempio di solidarietà di paraguaiani emigrati o esiliati in Europa.
Cari Felipe, Néstor, Adalberto, Rubén e Arnaldo, compagni detenuti per il massacro di Curuguaty, in sciopero della fame (NdR: gli arresti domiciliari sono stati finalmente concessi il 12 aprile 2014).
Riguardo alla vostra lettera in cui avete attribuito la responsabilità di quello che vi potrebbe accadere allo Stato paraguaiano e alla famiglia Riquelme, ed essendo trascorsi già 50 giorni dall’inizio del vostro sciopero della fame, noi paraguaiani che viviamo a Barcellona, del collettivo “Paraguay Resiste” ci dichiariamo completamente d’accordo con voi nel responsabilizzare sia lo stato che la famiglia che menzionate di eventuali esiti tragici. Nello stesso tempo vi inviamo la più calda, fraterna e sentita solidarietà.
Dal poco che è possibile fare, da una città del “primo mondo”, davanti al vostro esempio e a voi che rischiate la vita perché vi sia giustizia in Paraguay, riteniamo doveroso e necessario esprimervi che la forma in cui state resistendo, davanti alla totale indifferenza di coloro che continuano a vendere e distruggere il nostro paese, costituisce uno degli atti più commoventi per chiunque capisca seppur minimamente che non si fa patria in Paraguay senza che la terra sia per tutti.
All’interno della tanta resistenza della classe contadina voi siete, da oltre 50 giorni, la più viva dimostrazione che è incominciata una battaglia, senza ritorno, per la vita. Una battaglia del popolo paraguaiano che, in nome della vita, ha deciso di affrontare la morte. Speriamo che molta più gente si renda al più presto conto di ciò che voi significate.
Forse più di una volta avete pensato se valga la pena di fare quest’immenso Sacrificio; o forse no, forse la paura per voi già non esiste più. Questo lo sapete solo voi. Quello che sì noi sappiamo è che, con assoluto rispetto nei confronti della vostra decisione, in mezzo a tanta morte già seminata da questo modello di Paese che ci hanno imposto, in mezzo a tanta infamia, voi avete deciso di portare sulle vostre spalle il destino di tutto un paese.
Tutti gli atti più grandi del nostro popolo, dalla resistenza dei popoli indigeni che va avanti da cinque secoli, alla difesa durante la Guerra della Triple Alianza de la Patria creata dal Dr. Francia e da López, alla lotta contro la dittatura “entreguista” di Stroessner, al marzo paraguayo, tutto quello che pare addormentato nella memoria resuscita per dimostrarci che noi non ci venderemo mai, resuscita oggi in cinque nomi: Felipe, Néstor, Adalberto, Rubén e Arnaldo. Anche se il vostro sacrificio non terminasse in tragedia, cosa che desideriamo tutti noi che vi amiamo, i vostri nomi sono già incisi nella storia libera dall’ignominia che scriverà il nostro popolo.
Compagni, la lotta che si sta portando avanti contro lo snaturamento del lavoro e del ruolo del contadino, la lotta per la terra, per la sovranità alimentare, la lotta per la difesa delle risorse naturali, per l’autonomia, non è solo una lotta paraguaiana, è una lotta di tutto il mondo, e interessa sempre più persone di altri luoghi, come quello in cui ora noi risediamo.
Per questo pensiamo che la classe contadina di un piccolo Paese sconosciuto, rappresentata con più forza da voi da oltre 50 giorni, è oggi uno dei bastioni di quelli che rimangono nella lotta per un mondo e un tempo nuovi.
Sicuramente siete coscienti di questo, ma è ugualmente importante per noi ricordare l’immensità e la bellezza della vostra lotta. Voi siete parte dei primi sprazzi di luce dell’inizio della fine di una lunga notte.
Dall’altro lato dell’oceano, ma uniti a voi da un indistruttibile legame di sangue, storia e speranza, abbracciamo i nostri eroi.
Fabricio Armelia di Paraguay resiste, Barcellona 10 Aprile 2014
Aderiscono alle iniziative a sostegno dei prigionieri politici accusati senza prove per il massacro di Curuguaty, in vista del processo del 26 giugno 2014:
Hugo Blanco Galdós, direttore di Lucha Indigena
Jorge Agurto, direttore di Servindi
Marcelo Martinessi, regista cinematografico
Gigi Bettoli, cooperatore sociale
Gaia Capogna
Daniele Barbieri, giornalista
Francesco Cecchini, scrittore
David Lifodi, giornalista
3 Comments
Non entro in merito alla richiesta morettiana di spiegazioni. Una sola precisazione non politica, ma geografica. Curuguaty si trova in Paraguay non in Uruguay, sempre in America Latina, ma pur paesi diversi.
Immagino che in Uruguay la giustizia non sia in buona salute, come del resto in Italia. Però chiedo morettianamente alla Kersevan di spiegare questa storia delle provocazioni costruite (ci sono anche provocazioni spontanee?) e delle lotte.
Aderisco all’iniziativa a sostegno dei prigionieri politici accusati senza prove per il massacro di Curuguaty. In Italia sappiamo bene come vengano costruite le provocazioni per impedire lo sviluppo delle lotte. Per contrastare questi metodi repressivi è importante la controinformazione e cercherò di far conoscere il più possibile questa vicenda.