PE.S.CO o N.A.T.O?
Prima parte: istantanea di un bluff.
E’ nata la tanto agognata Difesa comune europea. Ma è proprio vero? Partiamo dal dato più ovvio: perché si possa davvero parlare di difesa comune sarebbe utile partire da una politica estera comune, la quale evidentemente non esiste e con buona probabilità non esisterà mai nell’attuale contesto politico. L’Europa è infatti un’aggregazione di stati che condividono moneta e ideologia neoliberista ma in politica estera ognuno fa per sé.
Ogni paese ha infatti le sue minime o estese aree di influenza e relativi interessi, spesso in conflitto o in competizione con quelli degli altri, che vengono difese seguendo uno schema neocoloniale.
Ogni paese poi ha la sua (più o meno) sviluppata industria nazionale degli armamenti e sue proprie direttici di sviluppo dello strumento militare, direttrici che sono strutturalmente legate all’assorbimento della produzione della propria stessa industria.
E’ vero che esistono scampoli di condivisione e coordinamento in alcuni settori strategici come programmi di acquisizione, tecnologie, industrie, esportazioni, ricerca, missioni internazionali. E’ pur vero che l’80% delle acquisizioni e il 90% dei progetti di ricerca si sviluppano su basi saldamente nazionali e che le missioni internazionali di un certo rilievo ossia le guerre di aggressione e le occupazioni di paesi terzi a cui anche l’Italia ha partecipato e partecipa sono possibili solo nel quadro delle capacità di proiezione messe a disposizione dagli Stati Uniti.
L’unico orizzonte comune (e nemmeno per tutti gli stati comunitari: 21 su 27) per ciò che riguarda il tema “difesa” è quindi la NATO.
Ecco allora che la questione della “difesa europea” si riduce a contorni per certi versi molto modesti: non sarà neanche lontanamente un esercito europeo e nemmeno una sua anticamera ma molto più semplicemente una Cooperazione strutturata permanente (PESCO) saldamente legata alla NATO e quindi agli Stati Uniti. Tutta l’operazione è stata costruita in pieno accordo con l’operatività e gli standard tecnologici della NATO, col fine preciso di svilupparli ulteriormente.
La PESCO, in concreto, è il prodotto di un compromesso tra Francia e Germania più Spagna e Italia in quanto gruppo di paesi dell’eurozona più popolosi e rilevanti dal punto di vista militare (operatività e tecnologia).
Tale gruppo promotore, in cui ovviamente risulta egemone lo storico asse franco-tedesco, si è materializzato a Versailles in un insolito vertice lo scorso marzo. A margine del vertice in questione, l’allora presidente francese Francois Hollande ha chiarito con parole inequivocabili il senso dell’incontro: “…Non vogliamo solo commemorare i Trattati di Roma, ma affermare insieme l’impegno per il futuro. Francia, Germania, Italia Spagna hanno la responsabilità di tracciare la strada; non per imporla agli altri ma per essere una forza al servizio dell’Europa che dà impulso agli altri (…) La Difesa è un argomento scientemente evitato dai Trattati di Roma. Oggi l’Europa può invece rilanciarsi con la Difesa, per garantirsi la sicurezza, essere attiva a livello globale, cercare le soluzioni ai conflitti che la minacciano. Questa deve essere, in coerenza con l’impegno Nato, la nostra priorità…”.
Alla PESCO hanno aderito, per il momento 23 su 27 paesi della Unione Europea.
Il processo decisionale dovrebbe strutturarsi su due livelli: uno generale in sede di Consiglio per gli Affari esteri dove le decisioni verranno prese all’unanimità tra i paesi aderenti alla Pesco; e quindi un livello specifico, diviso per singoli progetti, gestito dai paesi che vi parteciperanno.
La cooperazione strutturata, per il momento, avrà a disposizione 1,5 miliardi di euro l’anno messi a disposizione dal Fondo europeo per la Difesa creato la scorsa estate. Ma questa cifra, come spesso succede anche nei bilanci militari nostrani, è solo la punta dell’iceberg: è prevista infatti l’esenzione dall’iva per la commercializzazione dei sistemi d’arma verso i paesi comunitari (che evidentemente avrà un costo notevole) mentre la Ministra della difesa italiana Roberta Pinotti si è detta certa che la dotazione minima messa a disposizione dal Fondo europeo più la stessa esenzione iva fungeranno da volano per un maggiore impegno economico dei singoli paesi aderenti.
Ecco allora fare breccia il vero obiettivo della PESCO: soldi per finanziare non tanto una operatività congiunta (a quella ci pensa la NATO) ma bensì progetti di ricerca, consorzi industriali e acquisti di sistemi d’arma comuni come ad esempio i missili anti missile, nuovo “trend” del momento.
In questo senso, più che uno spazio aperto alla cooperazione, la PESCO già si configura come l’ennesimo campo di battaglia su cui sotterraneamente si combatteranno le industrie belliche nazionali (e rispettivi governi di riferimento).