Anche Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, è caduto nel tranello del solito tormentone estivo: dove sono i pacifisti? (riproduco l’articolo in fondo, ripreso dalla newsletter di: http://www.controlacrisi.org/)
Si tratta di un quesito tipico da “politica da osteria”; vi comprendo anche il “mondo dell’informazione”, ormai trasformatosi in una variabile noiosissima del “grande fratello” orwelliano. Esso sottintende una valutazione grossolanamente qualunquistica di cosa sia il pacifismo, caricaturalizzato come un gruppo di frikkettoni piazzaroli, dediti a ciondolare da un luogo all’altro, vociando inutilmente contro questo e quello.
Vorrei rivelare un segreto occultato scientificamente alle turbe di velinari, di commissari tecnici da bancone d’osteria e di “esperti strategici”: recente specializzazione dei già citati beoni fancazzisti, che ammorba in sempre più fitta schiera questo paese; paradossalmente, visto che gli italici eserciti non hanno mai vinto una guerra che fosse una (salvo di preferenza sparare contro le proprie popolazioni civili).
Rivelazione 1: i pacifisti sono persone come tutti gli altri, che lavorano, si arrabattano, e pure (finché dureranno le eredità degli avi, i cosiddetti “garantiti” o “privilegiati” che hanno avuto ancora un salario, stipendio o pensione, prima del ritorno al bracciantato precario di massa) si divertono od almeno cercano di rilassarsi. Ed il fatto che le guerre scoppino preferibilmente mentre la gente è in ferie (sarà proprio un caso? la prima guerra mondiale è scoppiata d’agosto, la seconda il 1° settembre, e via discorrendo) mette in difficoltà il pacifista bagnante, magari limitantesi al suo giro giornaliero con una spiaggia libera come la Brussa caorlese o qualche pozza di fiume.
Seconda possibile risposta: i pacifisti si stanno scocciando di dover presidiare ogni giochino di potenza, fatto per distrarci da cose più serie. Ad esempio, chi si ricorda più del fantastico “allarme atomico” sulla Corea del Nord, precedente fregnaccia barakobamiana? Vedasi, per una rinfrescata, il dibattito su: http://www.storiastoriepn.it/blog/la-corea-gaza-e-noi-qui-in-italia/ E’ sotto gli occhi di tutti (o dovrebbe…) che oggi gli USA debbono distrarre l’opinione pubblica mondiale dalla scoperta, grazie ad Assange, Snowden, ecc., dell’intricato meccanismo di spionaggio totalitario nordamericano a discapito del resto del Pianeta.
Già nell’occasione “coreana” proposi modestamente di abolire il premio nobel “per la pace”, oscenamente attribuito a gentaglia come Shimon Peres, Lech Walesa, Menachem Begin, Anwar Sadat, Henry Kissinger. Sbagliare una volta è possibile, perseverare no. Da ultimo, l’incredibile nomina “a futura memoria” di Barack Obama ha superato ogni limite. E ci permette per altro di ricordare un’altra “verità di fede”: mai fidarsi di socialdemocratici e riformisti. Il sovrastimatissimo “negro da cortile” (termine che prendo in prestito dal lessico del Black Power, e sta a designare, insieme all’equivalente “Zio Tom”, i neri collaboratori degli schiavisti bianchi, come il maggiordomo di Candyland cui Quentin Tarantino fa fare la fine che merita, nel suo più recente film) presidente degli Usa è stato già giudicato peggiore di Bush jr. da Tarik Ali delle New Left Review. Quanto all’ “uomo comune” Hollande, non è altro che il solito socialcolonialista francese, che in pochi mesi ha deluso chiunque, ad esclusione dei militari paracadutati in Mali ed ora pronti per l’avventura nell’altra ex colonia siriana. Forse è il caso di ricordare che queste cose le sappiamo da un’altra estate, quella del 1914, in cui l’Internazionale Socialista si sciolse, con il voto ai “crediti di guerra” e le “unioni sacre” che coinvolsero i maggiori partiti socialisti europei nell’ “inutile strage” della prima guerra mondiale. Dopo quell’estate tragica, finì che bisognò ricostruirne un’altra di Internazionale, contrapposta alla guerra ed ai suoi responsabili.
Oggi faccio un’altra considerazione: in una sorta di “spending review” mondiale, perché non aboliamo pure l’Onu, vista la sua inutilità? Tanto questi fanno quello che vogliono, e poi hanno le loro oligarchie formali nei G7-8-20. Almeno teniamoci i soldi.
E qui veniamo al perché sia sempre più difficile mobilitare il pacifismo mondiale.
Siamo stati sconfitti troppe volte, il sistema massmediale ormai occulta i fatti, la propaganda (pubblicità?!) frastorna ogni più vigile attenzione, il finanzcapitalismo manovra indisturbato, ogni reazione appare evidentemente inadeguata, ed in ogni caso pure ti prendono in giro: eccolo lì, lo scemotto noglobal ! Cosa ci manca? Forse quello che mancava in quei lontani anni ’10, nei convegni socialisti neutralisti di Zimmerwald, Kiental, Stoccolma, quello che angosciava i lavoratori internazionalisti schiacciati nel fango delle trincee ed animava quelli che clandestini disertavano per animare un’altra guerra: quella dei proletari contro i borghesi sanguinari che pretendevano di farli sbudellare tra loro.
Ci manca una forma politica, un Partito con la “P” maiuscola, un’idea con una prospettiva, un programma credibile. Non si chiami pure comunista – l’esperimento novecentesco non è stato proprio esaltante, con la sua trasformazione di un’utopia realizzata in una disciplina da caserma, e se pensi a che fine abbiano fatto gli ex comunisti ti viene pure la nausea… – ma di qualcosa abbiamo bisogno. Di movimenti “trasversali” e di società “civili” proprio non possiamo accontentarci, alla lunga, se finiscono per rimanere sempre settoriali, e spesso scadono nel collateralismo elettoralistico.
Gian Luigi Bettoli
– – –
Essere contro l’intervento militare, per Flavio Lotti è essere contrari ad un moltiplicarsi del conflitto. Non ci sono soluzioni facili né a breve termine, prosegue: “Stiamo già assistendo ad un’internazionalizzazione del conflitto. Le potenze mondiali hanno già deciso da tempo da che parte stare”. Per superare l’impasse “ognuno dovrebbe superare il proprio interesse singolo. Dire no all’intervento è dire no all’estendersi del conflitto”. Nell’immediato, l’unico aiuto concreto è quello che le potenze internazionali possono offrire a chi sta accogliendo le migliaia di rifugiati: “Gli aiuti umanitari – spiega Lotti – stanno arrivando a fatica”.
Positivo, secondo Lotti, l’atteggiamento fin qui tenuto dalla Farnesina. “Chiedere il cappello delle Nazioni Unite è una presa di posizione diplomatica contraria ad atti unilaterali, che invece sembrano sempre più vicini”, aggiunge. Il rpoblema dell’Italia però va oltre il dramma siriano: “In un momento in cui l’Onu perde credibilità e l’assenza dell’Europa è manifesta il nostro Paese per la sua storia e la sua posizione dovrebbe giocare un ruolo da protagonista. Invece paghiamo 15 anni in cui è scomparsa la nostra politica estera”.
1 Comment
butto lì due cose, così..
Caro Gigi, ancora una volta siamo qui a darci ragione l’uno con l’altro. Bene da una parte, significa che almeno condividiamo le opinioni, male dall’altra perché non si riesce ad andare oltre la reciproca cortesia.
L’occidente, perlomeno la sua parte peggiore, sta per far partire la sua reazione nei confronti della Siria; si sa che quando l’occidente reagisce, lo fa in modo deciso,nell’unica maniera che conosce: menando le mani. Se da una parte arrivano buone notizie, il parlamento britannico che vota contro l’intervento armato, dall’altra si trova sempre il pirla di turno che non riesce a credere che la grandeur della sua nazione è morta e sepolta da tempo. Lasciamo stare poi il nostro Nobel per la pace (che giustamente dovrebbe poter essere ritirato, annullato) che almeno qualcosina deve fare. Magari poca roba, qualche missile, qualche attacco con i droni, qualche azione da parte delle sue squadre speciali infiltrate nel territorio che riesca a combinare qualche incursione eclatante, ma insomma il Congresso non può rinunciare a ribadire che se si fa qualcosa, deve essere fatto da chi comanda veramente. Ne va del prestigio internazionale della prima potenza mondiale, perdio! Lasciamo perdere ciò che produrrà l’attacco occidentale in Siria, forse poco o nulla tranne i soliti morti di cui a nessuno interessa niente. A meno che non vengano esibiti davanti alle telecamere per ottenere qualche risultato preciso. Generalmente in televisione si preferisce rinunciare alle immagini “eccessivamente crude”; si sa che la gente è sensibile e si guarda il TG all”ora dei pasti. La digestione ne risentirebbe. Quando però si vuole incidere sull’opinione pubblica, magari per trovare un motivo alla “reazione indignata” delle nostre democrazie, si può rischiare di far andare di traverso il boccone agli spettatori. Che giustamente, importunati durante la sacra cerimonia del pranzo o della cena, si incazzano e chiedono giustizia. Per il pasto disturbato, mica per altro.
Per una volta che la Gran Bretagna potrebbe stare con gli altri, diversamente dal solito supino consenso alle decisioni degli Stati Uniti, arriva quell’originalone di Hollande che si fa prendere dal prurito e scalda i motori dei suoi bombardieri. Segnalo solo che una volta eletto, il socialista francese dichiarava pubblicamente: “la politica della Francafricque è terminata”. Insomma, il ricordo della politica colonialista della Francia era superato; forse l’arteriosclerosi gli offusca la memoria. Poi è arrivato il Mali, l’intervento (di dimensione ridotta) in Repubblica Centrafricana e non si accenna a diminuire il controllo diretto per esempio in Costa d’Avorio per dirne un ‘altra.
Intanto la Bonino continua a dichiarare che l’Italia se ne starà fuori dalla singolar tenzone; bene, ma non è chiaro se tutto ciò che viene e verrà fatto dalle forze statunitensi nelle basi in Italia sarà o meno contemplato nel rifiuto. Considerando che la nostra penisola è (con somma soddisfazione del ministro Mauro) una grande portaerei, deposito di armi e sede di comandi statunitensi, non si tratterebbe di poca cosa.
Capiamoci bene, senza una vera politica europea, né l’Italia, né la Francia e nemmeno la Gran Bretagna potranno avere un peso negli equilibri internazionali e lasceranno che le uniche decisioni di un certo rilievo a livello di politica estera europea saranno quelle decise a Berlino. Lasciamo stare il peso degli altri componenti della UE.
Quanto detto a proposito di Europa, vale in qualche modo anche per la sinistra italiana; potenzialmente di dimensione rilevante, non riesce minimamente ad incidere sulla vita politica nazionale.
E tutto ciò vale anche per il movimento, o perlomeno per quello che fino a poco tempo fa si ritrovava in questo termine. La “seconda potenza mondiale” era stato definito, e noi tutti contenti e fieri dal sentirci investiti da tanto potere. Mica balle, dopo gli Stati Uniti ci siamo noi. Solo che a decidere sono sempre stati loro; ci deve essere qualcosa che non quaglia!
Quanto poi alla solida graniticità del movimento, ci sarebbe molto da dire. Come l’Europa, come la sinistra, anche il movimento è un’entità di fragile coesione; lo si è visto (perlomeno da chi ha avuto l’opportunità di avere uno sguardo dall’interno) chiaramente anche nel suo momento di massima espansione e visibilità, a Genova nel 2001 e poi nel 2003 nelle manifestazioni contro l’intervento in Iraq. Tutti assieme ma ognuno per conto proprio, tutti amici ma tutti pronti a prendersi quel minimo di visibilità in più rispetto agli altri, tutti uniti ma prima vengo io. Ho avuto modo di lavorare all’organizzazione del Genoa Social Forum e posso assicurare che non c’era un gruppo, un’associazione, una componente del movimento che fosse realmente disposta a perdere quello che a mio modesto avviso era narcisismo e superfluo protagonismo, mentre per gli “attivisti” di ogni singolo gruppo era irrinunciabile specificità. Persino quando si doveva decidere sugli spazi da affidare alle varie iniziative o addirittura quelli destinati ai dormitori, si scatenavano liti e lotte e ci mancava solo di arrivare alle mani.
Chi poi pensa che il movimento sia composto da marziani o supereroi che niente hanno a che fare con le normali dinamiche della vita, ma da persone (per fortuna) comuni, direi che non ha capito ‘na sega. Forse il problema è proprio questo, c’è qualcuno che si prende troppo sul serio, che si sente al di sopra della banale realtà di tutti i giorni e dunque rifiuta dall’alto della sua posizione cose semplici come il diritto di vivere normalmente. Io non sento la necessità di essere erede di Enrico Toti, pronto a lanciare la stampella contro le linee nemiche come estremo atto di coraggio.
Sono allora d’accordo sul fatto che o si arriva a decidersi per un soggetto che non si limiti a fare politica dal di fuori, ma si organizzi seriamente anche a costo di perdere qualche specificità o eccessiva soggettività, o continueremo a darci ragione molto, però a pensare che quello che ci divide sia molto più importante di quanto ci avvicina. Non c’è un cazzo da fare, o si trova un compromesso accettato da tutti e puntando su obiettivi condivisi (ce ne sono tanti senza per forza fermarci sui dettagli) e cercando di perseguirli, o continueremo a tenerci le nostre ragioni e ad osservare con soddisfazione masochistica lo sfascio che non perdonerà nessuno. Tranne i soliti noti, ovvio.
Quanto a Lotti, giusto per tornare da dove eri partito tu, beh da anni continua a emanare proclami e a sguazzare nel movimento. Perché, assieme ad altri capi e capetti del mondo pacifista e movimentista, non prova ad immaginare un soggetto politico concreto, un partito (sono, ripeto, convinto che non ci sia alternativa ad un partito) che finalmente superi quel provincialismo che fa rimanere il movimento semplicemente un potenziale autoreferenziale che però ancora non ha portato a nulla di concreto.
Sono convinto che, al momento, senza una virata decisa di direzione da parte del PD ci siano poche speranze di mettere assieme in modo concreto e significativo le forze della sinistra, ma proviamo a ragionarci e forse anche la porzione “sana” di quel partito ci starebbe.
E perché no, che si arrivi ad un nuovo soggetto politico, si chiami come vuole, che faccia un po’ di pulizia del vecchiume che ristagna e proponga candidati nuovi, che si siano fatti le ossa nel movimento e che, di conseguenza, lo rappresentino.
Diversamente dovremo accontentarci dei bei tempi in cui eravamo la “seconda potenza mondiale”, ma evidentemente si trattava solo di “potenza potenziale”.
P.S. Oggi Scalfari su Repubblica ci informa che, invece, l’Italia ha bisogno di un diverso partito che rappresenti la destra. Continuiamo così, facciamoci del male.