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Sabbie mobili

C’e’ una parte della Siria che e’ spesso dimenticata e di cui si parla poco, eppure sara’ una delle zone di cui inevitabilmente si sentira’ parlare, indipendentemente dal fatto si passi attraverso le armi oppure si lasci spazio al dialogo e alla diplomazia.

La strada che porta verso Deir Ez Zor appena si passa Hasaka e ci si dirige verso sud, smette di attraversare i campi coltivati a grano ormai raccolto dalla moltitudine di mietitrebbie che quest’anno hanno fatto un magro bottino e ai villaggi disseminati lungo l’arteria, per lasciare spazio ad orizzonti piu’ ampi. I terreni coltivabili si fanno sempre piu’ rari e un misto di sassi e sabbia prendono rapidamente il sopravvento. Piu’ ci si inoltra nel meridione della regione, piu’ sabbia si trova.

Pare che questo ambiente non abbia nulla da offrire, tranne caldo e sete, ma e’ nelle sue profondita’ che si cela il suo segreto e la sua ricchezza; l’oro nero. Nonostante ormai da decenni si dica che l’era del petrolio sta per finire, che le energie alternative prenderanno il sopravvento,  le pressioni che le lobbies delle enormi compagnie petrolifere fanno decidere sulle vere scelte che si fanno. Dunque, e ancora per un bel po’, l’abbandono del fossile rimarra’ mera chimera. E dunque ancora, questo tesoro sepolto rimarra’ bene prezioso e fonte di guadagni.

Come accennato nel passato, Deir Ez Zor sia ad occidente che ad oriente del grande fiume che divide questa regione, l’Eufrate, ci sono i campi petroliferi e di gas piu’ importanti della Siria. Che, comunque uno la pensi, rimane ancora uno stato uno e unico e con ogni probabilita’ e con modalita’ da definire (ma con pesi e contrappesi molto diversi rispetto ad un annetto fa), rimarra’ tale. In parole povere, questo apparente vuoto riempito dalla sabbia in realta’ e’ una specie di cassaforte su cui molti vorrebbero mettere le mani senza spartire troppo. E su queste sabbie o si trovera’ un accordo oppure si litighera’ di brutto. Gia’ ora ci sono parecchie scaramucce, si tratta generalmente di bombardamenti da parte della coalizione sulle truppe fedeli al regime di Damasco che di tanto in tanto provano a forzare la situazione e si spingono troppo vicino ad obiettivi che gli Usa (soprattutto) ritengono eccessivamente sensibili. Cio’ che succede non e’ mai molto chiaro, ma si sa che appena gli alleati dei governativi o i governativi stessi ci provano, arriva loro in testa una granarola di bombe. Non altrettanto succede ai fanatici dell’Isis che occupano la zona al confine con l’Iraq, nella parte controllata dall’SDF, contro i quali da un mese ci sarebbe in corso un’offensiva che fino ad oggi ha portato poco e nulla in termine di risultati, tanto da far ritenere che questa operazione sia piu’ di facciata che di sostanza. In compenso l’operazione ha contribuito a rafforzare il numero degli sfollati che hanno dovuto lasciare le loro case e trasferirsi nei campi a loro deddicati piu’ a nord.

In uno di questi campi, ci sono persone che sono ospitate gia’ da almeno un anno, da quando la zona e’ stata liberata dalla presenza dei barboni neri. I danni che questa gentaglia ha fatto, risultano immediatamente chiari appena si ha l’occasione di scambiare due parole con chi quella presenza l’ha dovuta subire. Fatma, nome ovviamente di forma, una bambina che avra’ avuto 9-10 anni e ospite di uno di questi campi per sfollati, si avvicina con due coppette di granita colorata con sciroppi improbabili. Uno e’ per lei, e uno decide che e’ per me. Un regalo del genere non si puo’ certo rifiutare anche se rappresenta probabilmente un investimento pesante per la bimba e anche se le insidie dovute non tanto alla qualita’ dei coloranti, ma di quella dell’acqua con cui il ghiaccio e’ stato prodotto sono ovviamente in agguato. Fatma e’ vestita come una donna matura, tutta coperta di nero che lascia spazio soltanto al suo spendido viso. Strano per una bimba della sua eta’; ma Fatma ci dice che nei 4 anni passati sotto l’occupazione dell’Isis e’ stata costretta a vestirsi cosi’ ed ora, a distanza di una anno, lei ha ancora paura ad indossare vestiti normali. Da 4 anni, significa che gia’ da piccolissima ha dovuto subire queste violenze; significa che le sue paure, sempre ammesso che passeranno, avranno provocato ferite profonde e difficilissime da sanare. Per lei e per chissa’ quante persone, soprattutto donne, come lei. Sperando di non cadere nella sempre ahime’ facile retorica, e’ veramente un impatto forte non sapere cosa dirle, come dirle che quelle brutte persone non torneranno e che lei puo’ cominciare a dimenticare e che deve pensare che tutto cio’ e’ davvero possibile. E poi, doverla salutare e lasciarla li’.

Piu’ ancoraa a sud, a Kashra, la distanza con le zone kurde non si misura solo in termini di kilometrici, ma salta all’occhio immediatamente guardando la gente. Qui siamo in piena zona araba e sunnita, zona in cui l’Isis dettava ampiamente legge e dove qualcuno aveva effettivamente pensato che l’occupazione del califfato potesse essere una soluzione migliore rispetto al regime di Assad. Le donne si vedono in giro belle coperte e spesso vestite di un cupo nero interrotto da alcuni ricami o nastrini che ornano gli estremi delle loro tuniche. Chi puo’ probabilmente un po’ di piu’, sfoggia anelli, bracciali e catenine d’oro che fino ad un anno fa di sicuro non potevano mostrare. Alcune di loro, certo quelle un po’ piu’ emancipate, si fermano a raccontare volentieri di quei quattro anni di inferno passati a dover sottostare alle regole di quei fanatici criminali. La maggior parte stranieri, soprattutto nord africani, ma anche europei e, giurano, anche statunitensi. Raccontano di soprusi, di gente decapitata solo per aver provato a protestare, di legnate prese solo per non aver osservato rigorosamente le loro imposizioni.

La situazione in genere e’ peggiore rispetto al nord della regione; qui manca un po’ tutto, a partire dai servizi garantiti almeno ad un minimo dignitoso. La clinica e’ in condizioni igieniche perlomeno critiche; qui le agenzie dell’ONU e le Ong faticano ad arrivare con un minimo di metodo e di continuita’. Non troppo lontano ci sono ancora in corso operazioni militari e la sicurezza non e’ del tutto garantita. Ma si vive almeno senza l’oppressione continua patita per quattro lunghi anni. E le donne finalmente possono almeno mostrare il loro volto; certo non e’ granche’ ma a loro per ora pare una grande conquista.

Il sud del nord est (ci manca l’ovest e poi ci sono tutti..) della Siria ha una sua importanza anche in quanto rappresenta quell’elemento che probabilmente risultera’ decisivo per i futuri equilibri del paese. La stragrande maggioranza araba che compone la sua popolazione sara’ l’ago della bilancia che inevitabilmente pesera’ sulle scelte e sulle mosse che porteranno a determinare la nuova Siria e soprattutto di questa regione.

Pare, almeno analizzando cio’ che sta succedendo negli ultimi giorni, che una nuova fase si stia aprendo e che, rimane ovviamente da risolvere la faccenda di Idlib ma e’ questione di tempo, la diplomazia si stia affacciando e nemmeno troppo timidamente. Uno dei partiti kurdi, l’SDC, costola del PYD partito unico della NES, ha preso accordi con il regime per aprire sedi in molte delle citta’ sotto il controllo di Assad. Ad Homs, Aleppo, Latakia ed altre ancora ospiteranno sezioni di quel partito.

A Mambij, il locale Democratic Civil Administration, sta cercando l’appoggio del governo centrale; pare che l’attuale gestione dell’area da parte dei “proxy” dei turchi e degli Usa, non soddisfi per nulla le autorita’ locali.

L’altro giorno, a Damasco e’ atterrato un cargo francese pieno di “aiuti umanitari” da distribuire nelle aree di Daraa recentemente liberate dall’esercito siriano. Dopo le bombe, evidentemente qualcosa ha fatto cambiare loro idea.

Tutto cio’ significa che si stanno aprendo  prospettive che fino a poco tempo fa, sarebbero state pura fantasia, ma che alla luce della realta’ che si e’ palesata, non sono altro che l’unica soluzione possibile se non si vuole continuare il macello e non si vogliono rischiare casini ancora piu’ grossi.

Vedremo cosa succedera’, speriamo bene.

Docbrino

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