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Ritorno a Raqqa

Raqqa, ancora questa citta’. Di tanto in tanto mi piace parlarne per capire se ed eventualmente cosa succede. Anche perche’, almeno per quella zona, Raqqa puo’ risultare come una cartina al tornasole per quanto succedera’ da qui a venire. Ci vado spesso, con cadenza piu’ o meno settimanale e mi guardo attorno per percepirne i cambiamenti. Quanto detto in precedenza rimane e non e’ che nel giro di un paio di mesi la situazione possa cambiare granche’. Cio’ che salta all’occhio, pero’, e’ il movimento che sta cominciando ad essere sempre piu’ vivace. Una specie di brusio che si diffonde in modo ogni volta piu’ sostenunto, generalmente piccolo mezzi di trasporto carichi di merci, cibo, soprattutto di materiali per l’edilizia. Quasi una sezione di un formicaio, quando da ragazzini lo si prendeva, inconsapevoli del danno prodotto, a calci per vederlo all’interno.

Ogni piccolo spazio si possa trovare nei basamenti dei palazzi, quelli che hanno resistito al sistematico bombardamento, viene riempito di qualsiasi tipo di articolo. All’entrata della citta’ si comicano a formare piccolo agglomerati di baracchini e bancarelle; tutti uguali, tutti che vendono la stessa merce. Patate, zucchine, pomodori arrivano a Raqqa dalle perferie con enormi camion che scaricano all’ingresso dell’ex capitale del sedicente califfato il loro carico che viene poi diffuso nell’enorme ragnatela di negozietti in tutta la citta’. Camioncini, trattori, motocarri, tutto va bene per garantire la capillare distribuzione e per assicurare quanto necessario al sostentamento della gente e alle riparazioni dei locali in cui tutto viene stipato pronto per essere venduto a chi ritorna. Ecco, coloro che ritornano; si dice che circa un centinaio di migliaio di persone siano rientrate a Raqqa. Dove si possano essere sistemate, rimane un mistero, ma evidentemente il numero di negozietti, di piccolo ristoranti, pasticcerie, le pile di shawarma cotte, tagliate lungo le strade e vendute mescolate alla polvere sollevata dal traffico, raccontano che in effetti quei prodotti a qualcuno devono essere venduti. C’e’ persino qualche buco adattato a negozietto alla moda, in cui si vendono articoli di pseudolusso; accanto o a poca distanza, ci sono bancarelle allestite alla benemeglio con scarpe e indumenti di almeno seconda mano. Recuperate un come si puo’.

A proposito di recupero, in realta’ tra I lavori piu’ gettonati c’e’ quello del riciclaggio dei tondini di ferro provenienti dal cemento armato da estrarre dalle macerie. Lavoro, oltre che ingrato, anche particolarmente pericoloso in quanto in mezzo alle macerie si puo’ trovare di tutto, compreso qualche ordigno inesploso sul quale piu’ di qualche poveraccio finisce per saltare. Purtroppo non e’ che ci siano grandi altre prospettive di lavoro per ora. Ci sono si’ alcune ong che operano qui, generalmente non le piu’ grosse ed in progetti ancora limitati, ma per ora gli investimenti sono ridotti in attesa che arrivino i grandi falchi. I finanziamenti seguiranno logiche spesso indipendenti dalle reali necessita’ (qui ci si puo’ comunque sbizzarrire…) oppure in maniera equa e rispettosa dei rapporti che si sono radicati nei periodi piu’ problematici e della reale conoscenza del territorio. I criteri saranno dettati alle varie agenzie sulla base dei potenziali vantaggi che i donatori identificheranno e che gli interventi produrranno per gli Stati che metteranno a disposizione il malloppo.

Si cominciano a intravedere alcune case in riparazione, generalmente quelle di maggiore valore, quelle che si possono ancora riparare. I palazzoni invece, dovranno attendere tempi migliori, anche se e quando si matureranno, e’ probabile che i negozietti che nel frattempo occupano i vani agibili del piano terra dovranno trovarsi soluzioni alternative. Si vedra’ a tempo debito, certo e’ che questa gente ha capacita’ di adattamento insospettabili e forse imensabili per uno qualsiasi di noi.

La parte piu’ attiva della citta’ e’ sicuramente la perferia, c’e’ maggiore spazio, minori sono stati i danni e le macerie non ricoprono come nel centro buona parte dello spazio disponibile. Tra le attivita’ maggiormente gettonate, la costruzione di mattoni e di blocchi in cemento. E’ chiaramente il materiale che serve di piu’ in questa fase. In centro, in una delle maggiori rotonde spartitraffico, decine di persone stanno sedute con un badile, un martello, una mazzetta, qualsiasi attrezzo possa servire all’edilizia, aspettando una chiamata per un lavoretto che garantisca di mettere assieme qualcosa e tirare a campare. Scene di altri tempi rispetto a noi, o almeno di altre latitudini rispetto al nord Italia, dove il fenomeno del caporalato e’ meno diffuso e certamente piu’ nascosto rispetto al sud. Si capisce, si tratta di fenomeni diversi, qui si tratta di necessita’ dettata dalla situazione specifica in cui l’organizzazione non puo’ che essere precaria. Ma tant’e’, il primo riferimento, anche se improbabile, e’ quello.

Con il ritorno della gente, anche i controlli si fanno piu’ serrrati; inoltre siamo in periodo di Ramadan e secondo alcuni, questo potrebbe rappresentare un ulteriore pericolo; qualcuno potrebbe pensare che il paradiso si conquista piu’ facilmente facendosi a pezzi e macellando altra gente in questo periodo. Indipendentemente da cio’, la situazione della sicurezza in generale si fa ogni giorno un po’ piu’ tesa; questo almeno secondo gente che sta temporaneamente per varie ragioni in citta’ e che non vede l’ora di togliersi di torno. Spesso I lavoratori smettono presto per essere sicuri di poter rientrare a casa senza problemi. Certo, alcune questioni che ad oggi sono rimaste in sospeso; tipo il governo della citta’ (e della regione) che non corrisponde esattamente a criteri condivisi da tutti. Niente da ridire sul metodo che si cerca di impostare sulla base della “democrazia dal basso”, magari si potesse realizzare veramente; il punto e’ che tale metodo non e’ mai stato discusso tra le varie componenti. Piuttosto lo si e’ in qualche modo imposto e tenendo conto che qui la stragrande maggioranza della popolazione e’ araba e non kurda, si fatica ad accettare un sistema deciso altrove tanto quanto la presenza di truppe che in parte sono formate per lo piu’ da kurdi ed in parte da truppe straniere che si possono tranquillamente definire di occupazione. Isomma, la situazione e’ parecchio incasinata e non pare che una soluzione sia attualmente alla portata.

Manifestazioni (per quanto possano essere pilotate) si sono gia’ svolte e continuano ad essere organizzate; i riferimenti della locale societa’ si rifanno al sistema tribale e si sa quanto i vari sceicchi e leader dei clan possano risultare determinanti per imporre decisioni che si riflettono sulla comunita’. Inoltre, i rapporti tra i gruppi piu’ rappresentati nella regione, al nord i kurdi e per buoni tre quarti della regione dagli arabi (senza contare altre minoranze che pero’ numericamente sono meno significative), non sono certo idilliaci. I commenti degli uni rispetto agli altri fanno invidiare quelli dei leghisti rispetto a qualsiasi altro che non sia abitante nel nord.

In parole povere, si ha (io ce l’ho) la sensazione che molto rimanga da fare e che il futuro non si possa definire roseo finche’ alcuni nodi non arriveranno al pettine. E presto arriveranno, questo mi pare inevitabile; staremo a vedere.

Docbrino

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