Appunto; proviamo a vedere a che punto stiamo con l’evoluzione delle mirabolanti avventure siriane. Parrebbe che da un po’ di tempo nulla di particolare stia succedendo, che la calma quasi piatta sia il seguito dei bombardamenti (pardon, dello show) della coalizione e quella roboante impresa abbia sortito l’effetto di dare una solenne lezione ad Assad e ai suoi. Nel frattempo, invece, e nella quasi totale assenza di informazioni (informazioni si fa per dire..) sui media internazionali, le cose continuano a cambiare e a dare una prima bozza di quello che sara’ il futuro di questo Stato. Per dirne una, in questo periodo l’esercito siriano si e’ ripreso il campo profughi palestinese di Yarmuk che era diventato una delle roccaforti dell’Isis (e associati) a sud di Damasco e troppo vicino alla capitale per rimanere nelle mani dei terroristi. Dopo una serie di duri bombardamenti, e’ stato raggiunto un accordo e buona parte di quella gentaglia e’ stata fatta evacuare (qualcuno preferira’ il termine deportare), parte invece e’ stata integrata nelle truppe leali ad Assad.
Per ora, perlatro, non si sente parlare del caso che avrebbe scatenato la reazione dell’occidente; il famoso attacco chimico che diventa sempre piu’ comico. E’ chiaro che prima o poi e come al solito, vedi la questione dell’aereo olandese abbattuto in Ucraina sulla quale varrebbe la pena soffermarsi, ci sara’ un risultato della commissione che dira’ che non si poteva ricostruire la scena con sicurezza, che pero’ ci sono forti sospetti e via dicendo. Punto.
Ora la battaglia si e’ spostata piu’ a sud, verso Daraa, altra sacca nelle mani dei “ribelli” che dovra’ essere bonificata e messa in sicurezza. Area difficile e complicata in quanto al confine con la zona illegalmente occupata da Israele del Golan. Per ora il SAA (Syrian Arab Army) sta avanzando e cercando di prendere “l’enclave” da due diverse direzioni e continua a lanciare volantini (non solo, ovviamente..) che chiedono ai combattenti di arrendersi e scegliere tra l’evacuazione e l’integrazione nelle truppe lealiste. Questione di tempo anche li’. Israele pare accettare questa soluzione a patto che non si veda traccia di iraniani o Hezbollah da quelle parti. Non solo, ma Natanyauh and C. vogliono che questi alleati del governo locale si ritirino da tutto il territorio siriano. Pretesa ambiziosa, parrebbe, ma probabilmente meno impossibile di quanto sembri. Putin e i russi sanno benissimo che Israele e’ ad oggi l’unico elemento che potrebbe mettere in discussione la vittoria, perlomeno nella parte occidentale del paese, quella che maggiormente interessa alla Russia, e dunque mantiene i migliori rapporti possibili con il paese con la stella di David.
Chi rischia di rimetterci maggiormente e’ ovviamente l’Iran che pero’ visti i tempi bui e le speranze di ripresa economica naufragate a causa delle bizzarrie del biondo made in USA, dovra’ probabilmmente accettare obtorto collo un compromesso che non soddisfera’ piu’ di tanto gli Ayatollah, ma che permettera’ di mantenere un canale preferenziale commerciale con Mosca, a questo punto principale sbocco possibile in attesa che l’UE si svegli e cerchi una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti.
Rimane da sistemare la zona di Idlib, che come giustamente Negri ha nel recente passato definito, e’ la discarica dei “ribelli” sconfitti e per ora sistemati in quell’area circondata dalle truppe di Assad (ma controllata anche dai turchi) , ancora troppo vicine ad Aleppo (soprattutto) ed eccessivamente pericolose in quanto ancora ben armate. Per ora si stanno un po’ scannando tra di loro, ma cio’ evidentemente non puo’ bastare e una soluzione si dovra’ trovare. Fino ad oggi l’esercito siriano non poteva togliere truppe da altri fronti per non rischiare di indebolirli, ma una volta risolta la questione Daraa, pare piuttosto ovvio che Idlib sara’ l’obiettivo. Intanto aviazione russa e l’artiglieria siriana stanno mettendo sotto pressione la regione cominciando ad aprire il prossimo possibile intervento di terra.
Sistemata anche questa, in realta’ ci sarebbe da capire cosa si pensa di fare con Afrin di cui tutti pare si siano scordati ma che, nonostante l’occupazione turca, rimarrebbe territorio siriano. Naturalmente stiamo parlando anche della gente, i kurdi, che da quell’area sono scappati. Torneranno, non torneranno, verranno rimpiazzati da parte di coloro che prima o poi saranno fatti uscire da Idlib, dai profughi ora in Turchia? E visto che ci siamo, che succedera’ dalle parti di Mambij ancora sotto il controllo kurdo ma che da semprei i turchi vogliono ripulire da quella presenza? Al momento statunitensi e francesi stanno rinforzando la loro presenza nell’area, ma contemporaneamente pare che YPG stia comiciando a ritirarsi. Si puo’ facilmente ipotizzare che un accordo di massima si sia raggiunto, naturalmente a sfavore dei kurdi. Come sempre….
Sostandosi poi verso est, la zona che al momento pare piu’ assestata ma che in realta’ gode di equilibri piuttosto instabili. Gli aerei Usa bombardano (decidendo come al solito cosa sia o meno giusto) con una certa frequenza le truppe alleate di Assad che cercano di stabilizzare, rafforzando la loro presenza nell’area, una regione che per Damasco rimane vitale. I maggiori campi petroliferi e di gas sono da quelle parti, oltre che ad est dell’Eufrate. Assad ha recentemente detto che gli Usa e gli altri stranieri che compongono la coalizione se ne devono andare. Come riuscira’ a convincerli rimane un mistero, ma questo ovviamente per l’unita’ della Siria e la sua sopravvivenza rimane fondamentale. Non solo petrolio, grano, gas, ma anche acqua ed energia idroelettrica sono sotto controllo del NES (North East Siria) e della SDF (Self Defence Forces) a comando kurdo ma soprattutto Usa. Prendiamo Tabqa, per dirne una… la diga che forma il lago Assad che a sua volta fornisce di elettricita’ ma soprattutto di acqua un’enorme regione, citta’ importanti come Aleppo, irriga enormi aree coltivate. Insomma, senza queste risorse, la Siria rimarrebbe solo un’ipotesi di Stato e tutti i milioni di persone che la abitano sarebbero a serio rischio di poverta’. C’e’ da dire che il NES e’ privo di sbocchi commerciali; a nord c’e’ la Turchia (che non e’ propriamente amica dei kurdi), a sud l’Iraq (dove la componente sciita e’ predominante e non eccessivamente in cordiali rapporti, sempre con i kurdi), mentre a ovest.. c’e’ Assad. Rimangono ad est i cugini kurdi dell’Iraq, ma pure loro non hanno eccessive scelte; o Turchia o niente. Se poi Rojava dovesse divenire, come molti auspicano, una fotocopia del Kurdistan iraqeno, i sogni di gloria e di democrazia del progetto socialista sarebbero definitivamente carta straccia.
Tutto il sud della NES, inoltre, comincia a dare segnali di nervosismo e recentemente alcune tribu’ arabe influenti della zona di Raqqa (e dunque di Tabqa) hanno ufficialmente richiesto il ritiro delle truppe delle SDF e degli stranieri e le manifestazioni si susseguono sempre con maggiore frequenza. Parrebbe una cosa da poco, ma il potere di questi leader tribali va molto oltre la nostra immaginazione. L’Iraq dovrebbe insegnare qualcosa. Vedremo.
Docbrino