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Cooperazione: la dignità perduta

LA DIGNITA’ PERDUTA
Non si sono ancora cicatrizzate le ferite di “mafia Capitale” che ecco, una nuova scure si abbatte sulla cooperazione.
È così facile che l’opinione pubblica faccia di tutta un erba un fascio; diventa così scontato il danno reputazionale che non bastano poi le molteplici esperienze sane a recuperare.
Sta diventando sempre più difficile distinguersi. In particolare quando si abita la stessa casa.
Quella definizione: “le cooperative rosse”, abusata dalla cronaca di questi giorni, allude ad un sistema colluso con la politica, una parte della politica, in uno scenario corruttivo mafioso, in cui tutti sono allocati, buoni e cattivi.
E tu che abiti quella casa così dispregiativamente appellata stai male, ti senti offeso, vituperato, denigrato. Da chi poi: da chi pur abitando questa casa, le cui regole di convivenza sono paventate come condivise, ha abusato del proprio status per operare facili approssimazioni, nel tentativo di arrivare a rapidi guadagni, anteponendo il fatturato, per altro illecito, al bene comune che sottintende il vivere cooperativo.
E tu che provi con fatica, dando vita al mandato “collettivo” di occuparti degli interessi della comunità; tu che ogni giorno combatti con il “mercato”, del tutto povero degli interventi sociali; tu che devi districarti tra ritardi di pagamento e diritti dei soci e dei lavoratori a percepire il giusto stipendio; tu che ti affatichi per garantire democrazia e partecipazione nella cooperativa; tu che provi a dare risposte a domande e bisogni difficili delle persone della comunità; tu devi difenderti dal tuo coinquilino che, fregandosene di quanti altri abitano la stessa casa, non disdegna relazione con ambienti dell’illegalità a volte anche mafiosa.
Allora sei tentato di dire o tu o io, insieme non possiamo vivere, non siamo compatibili: io non sono come te.
Quindi uno dei due se ne deve andare.
Ma giustamente non si può cacciare un coinquilino fatto da una pluralità di persone, di cui non tutte hanno responsabilità dirette nelle scelte operative.
E quindi devi starci insieme, accettando di esiliare qualcuno, e provando a comprendere come sia potuto succedere e come sia possibile che accede quello che accade, in organizzazione dove, in teoria, il “controllo” e “l’indirizzo” spetta ai soci e che loro “scelgono” chi deve governarli.
E fai il confronto: come sia difficile in una cooperativa piccola assicurare la reale partecipazione di tutti ai processi decisionali, alla verifica dei percorsi e dei risultati, in termini sociali e imprenditoriali. E ti domandi: ma come si può fare per evitare quanto è successo quando i soci sono tanti; tanti che se ognuno volesse partecipare ai momenti collettivi, prendendo la parola per 5 minuti, ci vorrebbe un’assemblea che duri almeno 150 ore.
Ci vogliono regole, procedure, norme. Cose di cui si discute da tempo, ci si barcamena nel possibile, nel giusto, nell’opportuno.
E si procede sempre così, aspettando il prossimo evento; correndo poi al pronto soccorso a medicare le nuove ferite; riaprendo il dibattito sul come e perché; lavorando per distinguo e per prese di posizioni.
No è troppo faticoso così, e troppo oneroso dover ogni volta affannare per recuperare la dignità persa per colpa di altri.
Quindi o tu o io.
E pensi: “se la convivenza è difficile e io non posso cacciarti con le tue piccole o grandi responsabilità,è meglio che me ne vado io”.
Trovo un’altra casa, o meglio, me la costruisco, ricomincio daccapo, mi cerco nuovi compagni di stanza, ci diamo nuove regole e, sulla base delle esperienze fatte, si prova a ripartire, con una dignità acquisita dal rendere evidente che noi non abitiamo la casa dei criminali e delinquenti.
Meglio soli o male accompagnati?
Vorrei tanto che fosse questo il dibattito a casa mia, e che scelte anche gravose, possano, per emulazione, influenzare altri mondi, insinuando una cultura del fare senza approssimazioni, e se queste ci sono che stiano da un’altra parte.
E’ forte la tentazione di cambiare casa, ma e’ altrettanto forte la voglia di restare per cambiare. Indubbiamente questa scelta non compete solo a me ma anche al mondo, piccolo o grande che sia, che umilmente rappresento.
Luca Sorrentino
Presidente Cooperativa Sociale Aleph Service, Napoli.

2 Comments

  1. CdP ha detto:

    A mio modesto parere cooperative sociali di dimensioni mastodontiche dove sono presenti soci oltre i 100… 200… 500..1000..1500…e oltre mi sembra sia abbastanza evidente a tutti, forse tranne che alle stesse cooperative e ai loro organi di rappresentanza, che non siano quasi mai il massimo della pura cooperazione sociale espressione autentica di un preciso territorio, dove la cooperativa sociale nasce cresce e si sviluppa creando occupazione ed integrazione, anche per il semplice motivo che queste enormi realtà operano dal nord al sud togliendo letteralmente il lavoro da sotto i piedi di tutte quelle piccole realtà cooperative che con enorme fatica e sacrifici lottano quotidianamente per mantenere il posto dei loro soci lavoratori

    Buon fine settimana

    Massimo Zapparella, Coop Coala, Trieste

  2. CdP ha detto:

    Segnaliamo anche l’intervento odierno della presidente di Legacoopsociali:
    CORRUZIONE E COOPERATIVE, PARLA PAOLA MENETTI: “SIAMO AL FAMILISMO AMORALE, ORA SCELTE CONCRETE”
    http://www.nelpaese.it/index.php/26-articolo-nazionale/2282-corruzione-e-cooperative-parla-paola-menetti-siamo-al-familismo-amorale-ora-scelte-concrete

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