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Il 110 di Poletti ed il mio 110 e lode (a 47 anni)

IL MINISTRO DEL WELFARE
La provocazione di Poletti “Ragazzi, laureatevi presto il 110 a 28 anni non vale un fico”:

REPUBBLICA-POLETTI

Probabilmente la maggior parte dei cittadini e cittadine italiani/e non sa ricordare un nome, tra i tanti presidenti che hanno retto la storia più che centenaria della Lega nazionale cooperative e mutue. Eppure tra essi ci sono stati personaggi di altissimo livello, dal partigiano “titino” Valdo Magnani al presidente dell’Alleanza Internazionale delle Cooperative Ivano Barberini.
Il nome del (pen)ultimo invece, purtroppo, imparano a conoscerlo anche i più distratti. Con grande imbarazzo di chi si sente rinfacciare ad ogni piè sospinto di stare nella stessa organizzazione di quello che è l’attuale Ministro del (non) lavoro.
Maurizio Crozza ne fustiga l’agreste sempliciottismo, ma – come in altri casi tra le imitazioni del noto comico genovese – l’originale batte di gran lunga ogni caricatura. Paragonato ad un illustre esempio * , il semplicismo delle analisi dell’attuale ministro del lavoro è disarmante. In un paese deindustrializzato, privo ormai di grande imprese nazionali, in recessione da quasi un decennio, con indici di bilancio che sono superati in pejus (tra i paesi dell’Unione Europea) solo dalla Grecia, per Poletti il problema è che i gggiovani si laureerebbero tardi, perché perseguono l’obiettivo edonistico del massimo dei voti!
Invece, se si laureassero prima, il lavoro lo troverebbero certamente: grazie ad una sfrenata fantasia lisergica, che non riusciamo a riconoscere nell’ex comunista imolese assurto alla corte renziana grazie al pacchetto conferito di voti emilianoromagnoli.
Gianni Rodari l’avrebbe messo in una favola del “Libro degli errori”, ipotizzando che Poletti fosse lui, con le sue dichiarazione paradossali, la possibile radice della crisi italiana.

Vorrei che Poletti lo sapesse: io, funzionario pro tempore in distacco sindacale presso la Lega delle Cooperative, mi sono laureato non a 21, ma a ben 47 anni. E pure con la lode e la proposta di pubblicazione, terminata con tre ponderosi volumi.
Perché, insomma, così tardi? Non volendo imparare l’inglese nel 1977, ho fatto molti mestieri, e poi sono andato a lavorare come magazziniere in una cooperativa sociale di inserimento lavorativo. Che una laurea mi servisse per lavorare, già all’epoca era un’utopia regressiva. E mi considero pure fortunato: ci sono miei coetanei che fanno ancora i precari nella scuola. In ogni caso, da mio nonno meccanico ho imparato che le cose fatte bene richiedono il loro tempo. E dal nonno muratore ho ereditato l’imprinting genetico che è meglio star zitti, se prima non si è meditato a lungo.

Gian Luigi Bettoli

* Giorgio Amendola nel 1977, che invitava i giovani in rivolta a studiare l’inglese e ad emigrare. Che era retrò, ma logico in una prospettiva economicista d’antan. En passant: come mi raccontò un tempo l’indimenticabile Mario Tommasini, fu proprio il grande dirigente del Pci il primo – negli anni Sessanta – a fustigare in un congresso emiliano certi ambienti di Legacoop per disinvolture che avrebbero portato, purtroppo, lontano (e non certo nella direzione giusta).

2 Comments

  1. Glb ha detto:

    Nel merito, riconfermo il mio giudizio, citando a rinforzo quanto scritto lucidamente da Giorgio Cremaschi: http://www.controlacrisi.org/notizia/Lavoro/2015/11/28/46258-luttwak-e-poletti-sono-dei-reazionari-la-loro-visione-del/
    Mi permetto poi una puntualizzazione per “fatto personale”. A dispetto di quanto ricorda l’amico Sebastiano, io il magazziniere l’ho fatto sul serio (non come quei “sindacalisti” con alle spalle tre mesi di fabbrica pro forma, per poi iniziare la loro carriera; sindacalisti da non confondere con il Giorgio citato sopra). Ricordo quell’epoca come una fase eroica della cooperativa e pure, personalmente, come un momento di grande serenità. Il mio presidente di allora forse non lo ricorda perché quasi subito, mentre continuavo a spostare quintali di taniche di detersivo, oppure mi ritrovavo a riparare cavi elettrici di monospazzole stroncati ad ore improbabili, fui incaricato di badare alle questioni del personale, e poi di ogni altro tipo di mansione tecnica. Forse è per questa origine “dal basso” che il mio mestiere di responsabile del personale, e poi commerciale, è rimasto legato in modo inossidabile ad un’impostazione di classe. Che non è quella dei mai tanto vituperati sindacalisti o cooperatori in carriera per opportunismo.

  2. sebastiano comis ha detto:

    Caricando a testa bassa, qualche volta si sbaglia bersaglio. Poletti voleva probabilmente stigmatizzare il fenomeno dei fuori corso che usano gli studi universitari come alibi per non fare altro. Poi c’e’ il discorso degli studenti lavoratori, che magari hanno bisogno della laurea per il suo valore legale. Non e’ il caso di gigi , che e’ entrato in Coop Noncello senza bisogno della laurea. Anzi, l’ho assunto io, non ricordo con che mansioni, ma credo che il magazziniere non lo abbia mai fatto.

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