Pordenone 05/07/2018
Comunicato dell’Associazione Casa del Popolo
E’ trascorso ormai un anno dalla scomparsa di Elena Beltrame. E nonostante la sua mancanza si faccia sentire, per l’associazione Casa del Popolo, di cui è stata presidente, e per le tantissime persone che l’hanno conosciuta e incontrata, la sua presenza è comunque viva e si percepisce nell’importante eredità culturale e politica che ha lasciato. Fervente sostenitrice dei valori antifascisti, si è battuta fino all’ultimo per mantenere intatti e per difendere i principi fondanti della Casa del Popolo. Nei suoi interventi ci teneva sempre a citare quanto riportato nello statuto: “L’Associazione è un centro permanente di vita associativa a carattere volontario e democratico unitario e antifascista”. E poi aggiungeva, in continuità con quanto soleva continuamente dire il suo predecessore Mario: “Questa è la Casa di tutti. In questo luogo tutti possono accedervi. Tranne fascisti e razzisti”.
L’eredità lasciataci da Elena, Mario e tutti gli altri compagni che in questi cento anni hanno permesso che la vita democratica continuasse a svolgersi regolarmente all’interno di questo storico edificio, ha un peso certamente notevole. Tanto più in questi ultimi anni in cui gli attacchi sono diventati numerosi e in alcuni casi accompagnati da derive allarmanti.
La Casa del Popolo dalla fine del fascismo non si è mai trovata a fronteggiare un acuirsi di insulti e offese come in questi ultimi dieci anni. Tanto per descrivere brevemente il contesto di cui stiamo parlando, basti ricordare la definizione di “Baracca del Popolo” lanciata orgogliosamente nel 2009 dall’allora sottosegretario di AN Menia e accompagnata da un appello, rivolto al comune di Pordenone, dall’allora presidente della provincia Ciriani per intervenire (non si capisce in che modo) al fine di interrompere le libere e normali pratiche antifasciste. Negli anni successivi gli attacchi non si placano: andiamo dalle solite minacce di interruzione delle attività ad espliciti insulti, come quello di Matteo Salvini che nel 2015 definì “sfigati” i frequentatori della Casa del Popolo di Torre. Ma ancor più grave, sempre in quell’anno, fu la comparsa di una scritta in spray nero sul muro della facciata frontale: 25 aprile lutto nazionale. “La Casa del Popolo ha rappresentato, rappresenta ed è testimonianza di un’opposizione operaia e di popolo al regime fascista e padronale che ancora oggi fa ostacolo tanto da sentire il bisogno di imbrattarla con una scritta”, così replicò Elena a questo ignobile atto. Nei mesi a seguire il clima non mutò, anzi. La vicinanza e la solidarietà della Casa del Popolo verso i migranti fu nuovo pretesto di attacco: scritte con insulti, striscioni appesi contro i migranti e chi solidarizza con loro, installazioni di tendine di cartone nel piazzale della struttura (a simboleggiare il ricorrente slogan “prendeteveli a casa vostra”). Slogan peraltro confermato da Emanuele Gibilisco, responsabile provinciale di CasaPound, che rispose allo sdegno di Elena per la concessione all’associazione neofascista della sala intitolata a Teresa Degan con «Chissà se anziché amareggiarsi per gli eventi del nostro movimento, i prossimi profughi all’addiaccio, avendo come esempio Teresina Degan, li vedremo ospiti alla Casa del popolo». Siamo nell’aprile 2016, forse il momento più alto (o forse meglio definirlo più basso) del livello di insulto (complice anche la campagna elettorale in corso). Poco dopo l’offesa alla memoria di Teresina Degan, è la volta nuovamente della Casa del Popolo: le vetrate vengono coperte di scritte “Achtung banditen” (Attenzione, banditi). Questa volta è Gianlugi Bettoli a rispondere: «non è un caso che si moltiplichino le provocazioni, rigorosamente anonime, contro la Casa del Popolo di Torre, monumento e simbolo dell’antifascismo operaio della città. Se questo è il clima della campagna elettorale, non vogliamo pensare a cosa potrebbe succedere dopo». Ma intanto gli insulti si susseguono incessanti: andiamo dai messaggi via messenger ai commenti via facebook come quello di un certo Giovanni Blarasin (non sarà mica lo stesso segretario della Provincia ai tempi di Ciriani? No, sicuramente un’omonimia) “I ratti devono stare tra di loro”. Solo qualche mese prima sempre facebook ci riportava la conversazione tra due sostenitori (Paolo Parigi e Ludovico Foscari) del candidato sindaco Ciriani che, commentando la foto raffigurante una mano che inbuca il volantino della Lista Ciriani nella cassetta postale della casa del Popolo, scrivono: “Proporremo al prossimo sindaco di cambiarne il nome”.
Fu in particolare questo episodio, inserito nell’intera escalation di eventi, a provocare la legittima presa di posizione della presidente Elena Beltrame. Era doveroso difendere questo importantissimo, ultracentenario, patrimonio di democrazia quale è la Casa del Popolo. Le parole di Elena però non vennero interpretate da tutti come un atto di difesa dei valori antifascisti, tanto da costargli (così come a Gianluigi Bettoli poco prima) una denuncia con richiesta di risarcimento per danni morali. La replica di Elena non si fece attendere: “Non c’è che dire, un bel biglietto da visita quanto alla pluralità democratica di cui gode la galassia neofascista, in forza della Costituzione nata dalla Resistenza. L’appartenenza all’area neofascista del candidato sindaco Ciriani è leggibilissima e alla luce del sole. Vorrei ricordare la determinazione con cui Ciriani, presidente della Provincia, insignita di medaglia d’oro alla Resistenza, si è sempre opposto a che, alla commemorazione in piazza Ellero del 25 Aprile, venisse suonata dalla banda cittadina la canzone “Bella Ciao”, simbolo ormai internazionale della Resistenza. Di che cosa si lamenta allora, quale lesione è stata fatta, perché risulta cosi “fastidiosa” la presenza della Casa del Popolo tanto da ipotizzarne, a tempo debito, il cambio di nome? Forse ha a che fare con il fatto che continua a essere luogo, segno e memoria di lotte operaie per i diritti, di attività e resistenza antifascista e delle prime barricate erette nel maggio del 1921”.
Questo è un atto intimidatorio, così Elena lo definiva, voluto appositamente nel tentativo di piegare un simbolo visibile e solido dell’antifascismo pordenonese. Un tentativo di intimidazione fatto a colpi di querela in cui la prepotenza si manifesta attraverso la denuncia evitando il confronto politico.
Elena che in tutta la sua vita si è sempre battuta contro i soprusi e le prepotenze, proprio per questo non si era lasciata spaventare, rifiutando quel tentativo di accordo bonario proposto nella “lettera di avvertimento”.
La stessa scelta è stata condivisa anche da Gianluigi Bettoli.
Ecco così che a distanza di due anni dai fatti appena descritti, ci ritroviamo nuovamente a fare i conti con quel clima di intimidazione. Toccherà infatti a Gianluigi Bettoli nei prossimi giorni presentarsi in Procura proprio per quella vicenda che non si è affatto chiusa.
L’Associazione Casa del Popolo proprio in memoria di Elena, che da quella vicenda venne coinvolta in prima persona, non può che esprimere tutta la vicinanza e il sostegno a Gianluigi Bettoli. Qui è in gioco la libertà politica e di opinione, sono in gioco i valori antifascisti e democratici. Non possiamo permettere che le stesse Istituzioni italiane risorte dalla barbarie fascista grazie alla Resistenza ora rinneghino quei valori, perchè rappresentate da chi si permette addirittura di accogliere nella sede municipale rappresentanti di CasaPound.
Seguiremo quindi con attenzione i prossimi accadimenti. Allargheremo la partecipazione al sostegno a tutte le forze democratiche del territorio affinché questo clima di insulto, odio e intimidazione abbia fine e fascismo e razzismo restino fuori dalla storia.
Il Direttivo dell’Associazione Casa del Popolo
2 Comments
Stamane (20.2.2021) ho incontrato per caso Paolo Parigi, che ci ha tenuto a dirmi che, oltre a considerarsi estraneo ad ogni schieramento politico, il suo dialogo su facebook con Ludovico Foscari era stato solo un innocuo gioco di parole (per la precisione, ha usato la dotta voce “crasi”).
Ne prendo atto con piacere.
Anche se non ho potuto non ricordare al signor Parigi che, per chi la vedeva dal punto di vista dell’Associazione “Casa del Popolo”, quell’episodio era l’ennesima aggressione, tra scritte sui muri, volantini incollati alle vetrate, e perfino una passata riunione di Consiglio di Quartiere, dedicata a discutere di chi fosse proprietario dell’edificio.
Un edificio di lontana origine sindacale, frequentato tutt’oggi da ogni categoria di abitanti del quartiere, di proprietà di un’associazione operaia che lo possiede per una duplice contraddizione di una storia anch’essa ironica. Nata (l’associazione, un decennio dopo l’edificio) in tempi di rivoluzione, per impedire – grazie soprattutto al suo presidente Ilario Da Corte, muratore socialista – che tutto quel lavoro, acquisito sulla parola da un possidente cattolico, fosse “rapinato” dal parroco affarista don Giuseppe Lozer (come accadde con l’asilo). Associazione ritornata in possesso dell’edificio nel 1945, dopo la dittatura fascista, grazie alla vigile custodia di un segretario di notaio, l’anarchico Defragè Santin.
Diceva Flaiano che i fascisti si dividono in fascisti e antifascisti. Evidentemente Ciriani vuole passare alla seconda categoria.