Si è tenuta a Pordenone la celebrazione per il Centenario della Barricate Antifasciste
17 Maggio 2021
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23 Marzo 2024

Barricate di Torre: rassegna stampa, tra assenze, dissuasioni e distrazioni

Messaggero Veneto di sabato 15 maggio 2021 (giorno della celebrazione a Torre)
La sera di cento anni fa i fascisti assaltarono la sede del quotidiano “il Friuli” in via Treppo
La spedizione punitiva come reazione alla sconfitta alle elezioni politiche del giorno prima

Udine, 16 maggio 1921. La furia degli squadristi contro il giornale cattolico

la storia alessandro pennazzato Alle elezioni politiche del 15 maggio 1921, i fascisti, ruolo marginale nel panorama locale privo di aspra lotta di classe, si erano presentati nel variegato “blocco” borghese. Uniti dalla “preoccupazione bolscevica” per terre e fabbriche (poche), vi coesistevano in precario equilibrio: agrari, industriali, commercianti, reduci e socialisti indipendenti. Il “blocco”, maggioranza nella sola Udine, fu sconfitto nel resto del Friuli: socialisti e popolari vinsero, mentre il candidato fascista Ravazzolo, ferroviere, finì bocciato. Deluso, alla ricerca d’autonomia basata sulla violenza, il fascio cittadino compì la “spedizione” al giornale cattolico “Il Friuli”, reo di averlo definito «associazione a delinquere». Minacciato da tempo, il quotidiano di via Treppo, in una città dal nervosismo crescente, aveva solo due carabinieri di guardia la sera del 16. Già in piazza Vittorio Emanuele, colma di gente, avvennero disordini tra opposti schieramenti. Poi, verso le 22, l’assalto. In redazione c’erano il direttore don Attilio Ostuzzi, il cronista Franz, il cavalier Pietro Fantoni, il “sindacalista bianco” Tiziano Tessitori (neoeletto deputato, il più giovane d’Italia), i religiosi Masotti, Pigani e Saccavino. Inoltre Angelo Basciu, l’impaginatore Riello, il linotipista Agnese e l’operaio Zorzi. Tessitori e altri quattro, tra cui un carabiniere, tentarono invano di telefonare, ripararono in un cortile interno «tra la tettoia – riporta la cronaca spiccia del tempo – e il soffitto delle due latrine». Gli altri scapparono dagli orti della Provvidenza fra cespugli e rovi. Nel frattempo, gli squadristi – sparando e urlando “fuori i preti!”- diedero fuoco a carta, libri, documenti e mobilio. Distrussero con martelli e picconi le attrezzature tipografiche. Il gruppetto di Tessitori, scoperto, fu condotto in strada, insultato e malmenato. Agenti e militari accorsi non intervennero mentre gli aggressori ostacolavano i pompieri. Da un’automobile fu gettata benzina sul portone del palazzo arcivescovile con il presule Rossi, atterrito, alla finestra. Il giorno dopo, sciopero di tutte le tipografie. I capi delle sei squadre cittadine, preso il largo, non furono trovati o non si vollero cercare. Il 18, dopo perquisizione e sequestro del covo fascista di palazzo Beretta in via della Posta, vennero però arrestati il responsabile politico Covre, ex ardito, e il pubblicista Castelletti, presidente. Nel pomeriggio, con il segretario del fascio triestino Francesco Giunta (incendio Narodni Dom), anch’egli neo deputato, arrivò con i camion da Trieste, Monfalcone, Gorizia e Cormons oltre un centinaio di squadristi. Volevano riavere amici e sede. Ottennero intanto la seconda. Dura per gli udinesi, perlopiù chiusi in casa, la notte successiva: aggressioni, ferimenti, danni. In via del Sale morì un fascista monfalconese di origini calabresi. Il vescovo supplicò: «È triste l’ora che Udine attraversa quale non fu dopo la schiavitù nemica non si disonori con scene selvagge la nostra patria! Ritorni la pace!».Liberati i sodali, le squadracce “ospiti” se ne andarono il 19 mattina. Mussolini annuì compiaciuto scrivendo sul Popolo d’Italia: «Quando un giornale si abbassa sino a questa infamia non merita che d’essere bruciato». Fra 1920 e 1922, gli atti violenti squadristici in Friuli furono circa novanta in oltre cinquanta diverse località con quasi trenta feriti gravi e dieci morti. –

Squadristi respinti, ma resistenza tradita da esercito e forze dell’ordine
Alla vigilia delle elezioni politiche del 15 maggio 1921, Pordenone era il più grande capoluogo del Friuli a essere amministrato da una
giunta comunale socialista. Questo determinò probabilmente la decisione dei fascisti di concentrare un attacco sulla città. Vi
confluirono a più ondate squadre armate provenienti da Udine, Trieste, Treviso, Conegliano e persino Bologna.I primi tafferugli si
iniziarono domenica 8 maggio nel quartiere di Borgomeduna e proseguirono il giorno seguente davanti allo stabilimento Amman, dove
un portabandiera della “spedizione punitiva” venne ucciso per errore da uno squadrista che aveva puntato l’arma contro un operaio. Il
sindaco socialista Guido Rosso invitò alla calma e alla ripresa del lavoro, ma una parte dei manifestanti, diffidando della Prefettura,
organizzò nel quartiere operaio di Torre la difesa contro un prevedibile attacco. Vennero scavate trincee, collocati cavalli di frisia,
erette barricate. Vi parteciparono uomini e donne. Soldati del vicino aerocampo della Comina passarono armi ai difensori.All’alba di
martedì 10 maggio arrivò su Pordenone una colonna di camion provenienti da Sacile carichi di fascisti armati, che vennero lasciati
passare dalle autorità di pubblica sicurezza. Il municipio, la Camera del lavoro e la casa del sindaco vennero invasi, vari sindacalisti
furono tradotti in piazza e purgati.Nel pomeriggio, gli squadristi tentarono un attacco a Torre, ma vennero respinti dalle barricate con
scariche di fucileria. A mezzogiorno di mercoledì avanzarono su Torre reparti dell’esercito. Un ufficiale chiese di parlamentare col
Comitato di resistenza. Assicurò che, smantellando le barricate e consegnando le armi, l’esercito avrebbe presidiato Torre e impedito
l’accesso agli squadristi.Tolte le barricate, le condizioni non vennero rispettate. Al tramonto i fascisti comparvero in paese su camion
preceduti e seguiti da carabinieri e guardie di P.S. Seguirono sparatorie da più direzioni, con feriti da ambo le parti. Il capo della rivolta
Pietro Sartor venne arrestato e lasciato in balia della violenza fascista. Giovedì 12 il sottoprefetto, anziché punire i delinquenti, sciolse
il consiglio e la giunta comunali e sospese dall’insegnamento il maestro Sartor.Il Comune di Pordenone, a 50 e 75 anni da quegli
avvenimenti, aveva organizzato iniziative in memoria.

la cerimonia martina milia Cittadini del quartiere, le famiglie degli studenti della Lozer, ma anche vecchi “compagni”, esponenti della Cgil
– con le bandiere – e della Cisl, pochissimi politici (il candidato sindaco Gianni Zanolin, i consiglieri Nicola Conficoni e Marco Cavallaro
per il Pd, Serafina Leuzzi dei Cittadini, Marco Salvador di Pn 1291). Non sono mancati i partecipanti alla cerimonia per ricordare le
Barricate di Torre, una festa della memoria apertasi con la condanna dello striscione appeso sul cancello di casa di Alessandro
Ciriani.«Oggi condanniamo quanto avvenuto davanti alla casa del sindaco di Pordenone – è stato l’incipit del presidente della Casa del
Popolo, Andrea Fregonese -. È estraneo al nostro modo di concepire la politica e ne prendiamo le distanze, le stesse che altri non hanno
mai preso di fronte agli attacchi che noi abbiamo subito. Però riteniamo grave, e ripeto grave, ciò che è accaduto questa notte o questa
mattina». Poi il ringraziamento «alle tante persone associazioni e gruppi che hanno inviato loro appoggio: il sindacato, Cgil e Cisl, gli
onorevoli Nicola Fratoianni e Debora Serracchiani, la lista civica Il Fume, il Pd e molti altri ancora. Questo comunque oggi vuole essere
un giorno di festa, vogliamo ricordare, ma con gioia – ha scandito Fregonese -, in memoria delle tante antifasciste e dei tanti
antifascisti». Un grazie particolare è andato alla scuola Lozer.La prima parte è stata affidata, davanti al cotonificio di Torre, a Gianluigi
Bettoli: «Non vi racconterò cosa sono state le barricate perché, come si è sempre fatto, abbiamo usato commemorazione per fare un
lavoro scientifico, per attualizzare quelle che oggi, grazie alle ultime ricostruzioni documentali, dobbiamo definire le barricate di Torre e
Cordenons; perché sono stati due i paesi che si sono difesi. Prendiamo le distanze, non solo da bassi livelli di strumentalizzazione
politica che come sempre innanzitutto i nostalgici di quelli che stavano dall’altra parte delle barricate continuano ad alimentare ogni
volta, ma anche da genericità, insulsaggini non scientifiche, dalle semplificazioni di chi non riesce neanche a leggere le cinque pagine,
perché non sono di più, delle memorie di don Lozer dedicate alle barricate».Sergio Zilli, docente dell’Università degli Studi di Trieste, ha
fatto un paragone tra le Barricate e Woody Guthrie, artista folk impegnato politicamente, a cui è dedicato un premio appena vinto da
Bruce Springsteen. «La memoria di Torre è stata mantenuta con lo sforzo di pochi, mentre molti si sforzavano di dimenticare anche
mandando al macero documenti. Ma dopo cento anni siamo ancora qua a ricordare quanto accaduto, a dire come Woody Guthrie le
cose che vediamo. Siamo qui sapendo di stare dalla parte giusta, senza preoccuparci se epigoni eredi dei tristi figuri di allora cercano di
ricordarci che non tutti gli italiani sono brava gente. E siamo certi che verrà il giorno in cui l’esempio di allora sarà patrimonio di tutti».
Non sono mancate letture delle testimonianze degli ex operai dei cotonifici e poi la musica – con Massimo De Mattia e Romano Todesco
– e le letture dei ragazzi di terza E e F della scuola Lozer, che hanno fatto un approfondito lavoro di ricostruzione storica consultando
fonti diverse, anche di diverso orientamento politico e che, con emozione, l’hanno restituito in pubblico davanti alla Casa del Popolo.
«C’era una storia da raccontare e noi l’abbiamo raccontata così – recita il cartello finale mostrato dai ragazzi -. “…La storia è testimone
dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità”. (Cicerone)».

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