la storia daniele boltin Nel clima di violenza e di intimidazione portato avanti dai fascisti durante il 1921, Pordenone ha pagato un caro prezzo, con un attacco al suo cuore amministrativo. Oltre alle note “barricate di Torre”, un altro episodio scosse la città nel maggio di cent’anni fa, quando i fascisti decisero di colpire direttamente il sindaco.Nella notte tra il 10 e l’11 maggio 1921 diversi camion con a bordo circa 300 fascisti armati arrivarono a Pordenone da Udine e da Venezia. Dopo avere trovato su un camioncino nei pressi del municipio schede elettorali del Partito socialista e averle bruciate, andarono senza indugio verso un luogo preciso: la casa del sindaco socialista di Pordenone, l’avvocato Guido Rosso, che si trovava in corso Garibaldi e dove aveva sede anche il suo studio legale.Come riporta il verbale redatto all’epoca dalla Prefettura, «nonostante la vigilanza della truppa preposta a tutela riuscivano a penetrare nella stanza anteriore dello studio legale e a buttare fuori dalla finestra mobili e incartamenti». I fascisti dopo l’assalto alla casa e dopo aver minacciato la moglie del sindaco con una pistola per sapere dove si trovava, si diressero verso lo studio e da un cassetto della scrivania presero una busta di pelle che, come riporta Guido Rosso in una delle poche memorie esistenti, conteneva documenti relativi all’attività dell’avvocato Piero Pisenti.Di questi documenti oggi non si conosce il contenuto. Pisenti, già praticante nello studio di Rosso, era diventato poi un componente di spicco delle squadre fasciste, e durante la dittatura gerarca del regime fascista, sino a essere nominato ministro della Giustizia della Repubblica di Salò, Stato fantoccio della Germania nazista.Ancora nella notte tra il 10 e l’11 maggio, subito dopo il raid contro il sindaco, fu colpito un altro esponente dell’amministrazione comunale, l’assessore Romano Sacilotto, cui venne saccheggiato e distrutto il negozio in corso Vittorio Emanuele.Il custode delle memorie del sindaco, scomparso nel 1966, è il nipote Antonio Rosso che ancora oggi conserva alcuni reperti di queste vicende. Guido Rosso, persona riservata, in particolare sulle dolorose vicende del ventennio fascista, ha lasciato pochi documenti e un unico cimelio sulla distruzione della casa del 10 maggio 1921: il libro “Storia socialista della Rivoluzione francese” di Jean Jaures, strappato durante l’assalto. Nella seconda di copertina Rosso scrisse: “Così ridotto dai fascisti la notte del 10 maggio 1921”.Le violenze non finirono qui: circa un mese dopo, nella notte tra l’8 e il 9 giugno, venne ucciso a Prata il fascista Arturo Salvato. Per ritorsione furono devastate le case dei più noti antifascisti della zona. Ancora una volta venne preso di mira il sindaco. Rosso nelle sue memorie riporta che dopo questo omicidio i fascisti tornarono a casa sua: stavolta irruppero nella biblioteca. Tutti i libri, circa 8 mila, furono buttati in strada e bruciati.Le violenze e le intimidazioni fasciste dopo questo evento aumentarono sempre di più nei confronti di Rosso e non si fermarono nemmeno dopo la cessazione dell’incarico nel 1922. Negli anni successivi, dopo l’instaurazione della dittatura, furono minacciati i suoi clienti, intimidita la famiglia, fu pedinato dall’Ovra (la polizia politica fascista), costretto a lasciare Pordenone svolgendo la professione a Milano e Venezia e tornando in città segretamente, di notte. Tre volte i fascisti cercarono di assassinarlo, invano.L’alba, per il sindaco Rosso e per i pordenonesi, arriverà dopo oltre 20 anni, il 30 aprile 1945, con la liberazione della città e la fine del periodo più nefasto della storia d’Italia.