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Anniversario della morte di Karl Marx, un comunista

Morte di Karl Marx, un comunista

 

di Francesco Cecchini

 

«Il y aura ce jour… Rien ne peut entamer la terrifiante lumiére glacée de cette certitude» – Jacques Derrida

 

 

 

La morte.

 

All’età di 65 anni muore Karl Marx. È un giovedì e siamo nel 1883.Tre giorni dopo viene sepolto a Londra nel cimitero di Highgate, in quella parte destinata agli indigenti e a fianco della tomba della moglie Jenny von Westphalen, morta 14 mesi prima.

 

Friedrich Engels con queste parole apre e chiude il discorso di commiato: «Il 14 marzo, alle due e quarantacinque, ha cessato di pensare la più grande mente dell’epoca nostra. L’avevamo lasciato solo da appena due minuti e al nostro ritorno l’abbiamo trovato tranquillamente addormentato nella sua poltrona, ma addormentato per sempre… Il suo nome vivrà nei secoli e così la sua opera».

 

Premessa

 

Tredici mesi prima della morte, Karl Marx abbandona, per la prima e l’ultima volta, l’Europa e va in Africa, ad Algeri. La città che incontra nell’inverno del 1882, non è quella che Albert Camus descrive nel suo romanzo «Lo straniero». Né tanto meno quella dove vivo. Il tempo trasforma. Ora è una metropoli soffocata dal traffico, le colline sono di cemento e le periferie pericolose come quelle di Marsiglia. Il terrorismo islamico a volte la macchia di sangue. La luce, quando il vento spazza via nuvole e smog, è però la stessa di sempre, come il mare che sta di fronte. Allora vista dalle alture della Casbah, gli edifici antichi della parte bassa, le onde che si infrangono contro le rocce lungo il mare, Algeri sembra ai miei occhi come L’Avana del mediterraneo, simile, forse, al luogo che ospitò Marx, più di cento anni fa.

 

Tutte le guide turistiche (Le Petit Fouté, Le Routard, Lonley Planet e altre) descrivono il luogo e ne consigliano la visita. Sottolineano che il primo film di Tarzan – «Tarzan, the ape man», con Johnny Weissmuller – è stato girato al suo interno nel 1932. Una pellicola in bianco e nero che fotografa un ambiente che non è la jungla africana, ma un famoso orto botanico sperimentale «Le jardin d’essai» di Algeri. I francesi lo fondarono nel 1832, poco dopo la conquista; gli algerini se ne sono appropriati come uno dei tanti bottini di guerra quando sconfissero i colonialisti e lo conservano intatto nella sua bellezza e ricchezza di verde, piante e acqua.
La descrizione, qui sotto, è di un autore speciale e non appare nelle guide o in articoli di riviste turistiche, ma in una lettera a un amico: «Ieri verso l’una del pomeriggio, siamo discesi a Mustapha e da li con il tram abbiamo raggiunto il Jardin Hamma o Jardin d’ Essai utilizzato come Promenade Publique, ove si tengono concerti di musica militare, utilizzato come vivaio, per la crescita e la diffusione della vegetazione indigena, oltre che per la sperimentazione botanica e scientifica e come giardino di acclimatazione… Il tutto occupa un vasto terreno con una parte accidentata ed una in piano. Per visitarlo con attenzione, serve almeno un giorno intero, per di più con esperto conoscitore come M. Durando, esperto in botanica».

 

Siamo di fronte al Mediterraneo, in una giornata di fine inverno o inizio primavera del 1882. La città è Algeri la bianca, ancora un po’ ottomana, ma già mezzo francese e e sulla strada di diventare una metropoli, come Marsiglia che le sta di fronte sull’altra sponda. El Hamma, il nome del quartiere dove si trova il giardino significa febbre, quella che i profumi e i colori possono dare. Chi scrive non è un viaggiatore qualsiasi, uno dei tanti europei che in quegli anni visitano quest’ Africa non lontana, ma proprio Karl Marx in una lettera che fa parte del «Carteggio Karl Marx, Friederich Engels volume VII (1870-1883)» pubblicato da Editori Riuniti nel 1973.

 

Karl Marx da studente a rivoluzionario a comunista

 

L’uomo che passeggia per quell’orto botanico è dunque il più grande rivoluzionario di quel secolo e forse di tutti i tempi. Nato a Treviri, Prussia, sessantaquattro anni prima, nel 1818 da una famiglia ebrea, il padre era avvocato. Nel 1835, spinto dal padre si iscrive a Berlino a giurisprudenza, ma frequenta lezioni di filosofia e letteratura, e conduce la vita goliarda di quei tempi, viene anche arrestato per aver disturbato, ubriaco la quiete pubblica. In un duello fra studenti viene ferito ad un sopracciglio e poi denunciato per possesso di spada. Nel 1836 si fidanza in segreto con Jenny Westphalen, la donna della sua vita. Una relazione poi accettata dalle famiglie; fra Karl e il suocero, il barone von Westphalen, vi sarà sempre affetto. Nell’ autunno di quell’anno dalla facoltà di giurisprudenza di Bonn si trasferisce a quella di Berlino, un’università di maggior prestigio; vi aveva insegnato Hegel e la sua influenza è egemone in tutti i campi del sapere: dalla filosofia, al diritto, alla scienza. Se gli anni a Bonn sono quelli della goliardia, il tempo di Berlino è quello della poesia e dell’inizio dell’impegno politico. Scrive e dedica a Jenny tre quaderni di poesie, «Buch der Lieder» (Il libro dei canti) e altri due «Bucher der Liebe» ( Libro dell’amore) questi ultimi perduti. Al padre per i suoi cinquant’anni dedica un quaderno di poesie dove vi sono anche quattro epigrammi per Hegel. Oltre alla passione romantica per Jenny e la poesia esplode – spinta dal desiderio di cambiare il mondo, la società e gli uomini – una forte passione politica che all’inizio ha come base l’hegelismo. Non quello conservatore utilizzato dalla classe dominante prussiana per giustificare il potere assoluto ma quello progressista che esalta la dialettica, per la quale tutta la realtà, anche sociale e politica è un continuo divenire. Nel 1837 abbandona definitivamente le lezioni di diritto all’università e frequenta a Stralau, periferia di Berlino, il Doktorklub, un circolo di giovani hegeliani che passa da posizioni monarchiche liberali a posizioni radicali rivoluzionarie prendendo il nome di Amici del Popolo. L’ anno seguente, il 1838, con Ruge, anche lui della sinistra hegeliana, fonda «Gli annali di Halle per la scienza e l’arte tedesca», soppressi dalla censura prussiana nel 1843. Dalla fine del 1838 al 1840 si dedica a una «Storia della filosofia epicurea, stoica e scettica» che non completa, ma trasforma nella sua tesi di laurea, «Differenza tra la filosofia naturale di Democrito e quella di Epicuro» con la quale conseguirà il dottorato in filosofia a Jena il 15 aprile 1841. Come studioso si rivela per quello che sarà per tutta la sua vita pubblica: un lavoratore accanito, un intellettuale senza pari, forse freddo e poco sensibile. In due frasi della prefazione c’è tutto il Marx futuro, ribelle e ateo: «La filosofia griderà sempre agli avversari con Epicuro: empio non è colui che nega gli dèi del volgo, ma colui che attribuisce agli dei i sentimenti del volgo»;«la confessione di Prometeo: francamente io odio tutti gli dèi… è la sua propria sentenza contro tutte le divinità celesti e terrestri che non riconoscono come suprema divinità l’ autocoscienza umana».

 

Dopo la laurea si orienta verso il giornalismo, in quanto crede che la parola scritta sia un’arma importante nell’azione rivoluzionaria. Arma che da subito mette paura. Dopo un suo primo articolo in «La Gazzetta Renana», un giornale di tendenza democratica e rivoluzionaria, diviene redattore capo. La parola scritta di Marx ferisce e mette paura, tanto che nel 1842 la «Gazzetta» viene chiusa dalle autorità prussiane. Alla chiusura del giornale Marx si trasferisce nel centro rivoluzionario più importante in Europa, Parigi.

 

Dopo aver approfondito la sua preparazione accademica di filosofia, storia, scienza politica, aver fatto i conti con blanquismo, socialismo utopico, sansimonismo, Fourier, Proudhomme, frequentato «La lega dei giusti», diviene quello che sarà fino alla morte: un comunista scientifico. Nel 1844 incontra, in occasione di una visita a Parigi, Friedrich Engels. I due si conoscono e soprattutto si riconoscono scoprendo che sono arrivati alla stessa conclusione sullo sbocco della rivoluzione: il comunismo, non come un ideale utopico di egualitarismo ma come la forma necessaria della società futura dove lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo scomparirà e le classi verranno abolite su basi scientifiche. Inizia una collaborazione che durò fino alla morte di Marx, con lo scopo di spiegare alla classe operaia i princìpi scientifici del comunismo e organizzarla in un movimento politico rivoluzionario internazionale. Nel 1844 Karl Marx a causa delle sue attività sovversive è costretto a lasciare la Francia, va a Bruxelles dove organizza e dirige una rete europea di gruppi rivoluzionari che prende prima il nome di «Comitati comunisti di corrispondenza» poi quello di «Lega Comunista». Dal 1843 al 1847 Marx scrive prevalentemente di filosofia: «Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico» (1844), «Manoscritti economico filosofici (1844), «La sacra famiglia» (1845), «Tesi su Feuerbach» (ancora 1845), «Ideologia tedesca» (1846) e «La miseria della filosofia» (1847). In queste opere vi sono idee e frasi che rimarranno scolpite per sempre nelle menti dei militanti comunisti di formazione marxista quale: «I filosofi hanno sino a ora interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo».

 

Una fase diversa, più concentrata su politica ed economia, inizia quando Marx ed Engels vengono incaricati di dirigere il programma di questa prima organizzazione operaia internazionalista, «La Lega Comunista». Nasce così il «Manifesto del Partito Comunista»: indimenticabili frasi come «Tutti gli uomini sono fratelli» e la parola d’ordine che da allora guida l’impegno internazionalista «Proletari di tutto il mondo unitevi». Al centro di questo documento vi è la teoria, spiegata e approfondita poi in «Per la critica dell’economia politica» (1859) e chiamata materialismo storico. Questa teoria, che è allo stesso tempo una rottura filosofica e politica, spiega che ogni periodo storico – antichità, feudalesimo, capitalismo – è basato sui rapporti di produzione economici che determinano la forma politica, giuridica, sociale, culturale e intellettuale della società di quell’epoca. La società primitiva, dove ognuno lavorava in libertà per soddisfare i propri bisogni individuali, si è evoluta in un sistema economico sociale dove la produzione crea ricchezza e soddisfa bisogni collettivi ma il lavoro è diviso, i mezzi di produzione sono in mano a pochi (i capitalisti) e i più (gli operai) posseggono solamente la loro forza-lavoro che devono vendere per sopravvivere. Da questa analisi dialettica della storia e del presente la conclusione de «Il manifesto del partito comunista» è questa: la classe capitalista deve essere rovesciata dalla classe operaia per mezzo di una rivoluzione che instaurerà una società senza classi dove la proprietà dei mezzi di produzione sarà collettiva. Dopo la pubblicazione de «Il manifesto del partito comunista» (la cui diffusione all’inizio è limitata) rivoluzioni scoppiano in Francia, quella del febbraio 1848 che porta alla seconda Repubblica, e in Germania. Il governo belga teme che l’onda ribelle investa il Paese e scaccia Marx da Bruxelles: va prima a Parigi e poi a Cologna dove oltre a fondare ed editare un giornale comunista («La Nuova Gazzetta renana») dirige la sezione locale della «Lega dei Comunisti» e fonda una «Associazione operaia» con 7000 aderenti. Nel 1849 Marx viene arrestato e giudicato dal tribunale di Cologna che lo ritiene colpevole di incitamento alla lotta armata. Liberato, viene però espulso dal Paese. Dopo il fallimento del movimento rivoluzionario in Francia e in tutta Europa, si trasferirà a Londra dove – a parte brevi soggiorni in Francia e uno ad Algeri – rimarrà per il resto della vita. A Londra si dedica allo studio e alla scrittura: il luogo di queste due attività è la sala di lettura del Museo Britannico. Non rinuncia alla costruzione di un movimento comunista internazionale ma l’attività teorica è prevalente e darà vita a un’opera che sarà fondamentale nella teoria comunista di critica alla società borghese, «Il Capitale»: il libro I del 1867 e i libri II e III pubblicati da Engels dopo la sua morte nel 1885 e 1894. In quest’opera – che definiva il più temibile proiettile sparato in testa alla borghesia – Marx analizzò sistematicamente la storia del capitalismo e sviluppò la teoria dello sfruttamento da parte dei capitalisti della classe operaia con l’ appropriazione del plusvalore. Nel 1871, durante la guerra franco-prussiana, scoppia in Francia una guerra civile e viene formato a Parigi un governo rivoluzionario, La Comune di Parigi, che sarà soffocato nel sangue. Per Marx questa pur breve esperienza è la conferma della necessità storica che la classe operaia conquisti il potere politico per mezzo di un’ insurrezione armata capace di distruggere dalle radici la società e lo Stato capitalista.

 

In polemica con Proudhon e i socialisti utopici, Marx acclama la Comune come una istituzione politica capace di emancipare economicamente il lavoro. Questa teoria viene chiaramente articolata nella «Critica del programma di Gotha» (1875) dove viene reso esplicito il concetto di dittatura del proletariato: «Tra il passaggio da un sistema capitalista ad un sistema comunista scorre un periodo di trasformazione rivoluzionaria da un un sistema all’altro che corrisponde ad un sistema di transizione politica durante il quale lo Stato non può far nient’altro che essere dittatura rivoluzionaria del proletariato». Una volta trascorsa questa fase rivoluzionaria, la cui durata Marx non precisa, il diritto borghese può essere definitivamente superato e nella società futura potrà essere applicato il principio: «da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni». Gli ultimi anni della sua vita sono marcati dal dolore fisico e spirituale (per la morte di persone care) che gli impediscono di svolgere con pienezza sia il lavoro teorico, che quello pratico di rivoluzionario militante.

 

Il suo breve soggiorno ad Algeri da febbraio a maggio del 1882 è emblematico di quest’ultimo periodo della sua vita.

 

Ragioni del viaggio ad Algeri

 

La ragione della visita ad Algeri non ha niente a che vedere con la rivoluzione o con un’analisi sul campo delle malefatte del colonialismo francese. Karl Marx, come d’altra parte Engels, vede nel colonialismo una tappa necessaria dello sviluppo capitalista e quindi della maturazione del comunismo. Engels in un articolo pubblicato sul «Northern Star» del 1848, a commento della sconfitta dell’emiro Abd El Kader avvenuta l’ anno prima, così conclude: «E dopo tutto il borghese moderno con la civiltà, l’industria,l’ordine e lo spirito almeno relativamente illuminato che lo accompagnano, è preferibile al signore feudale o al rapace predone e allo stato sociale barbaro cui appartengono». Marx naturalmente è sulla stessa lunghezza d’ onda.

 

La decisione del viaggio in Algeria è legata alla salute ed è sofferta per vari motivi: età, vecchiaia, impegno teorico e pratico nel movimento comunista. Marx sta vivendo il periodo, non solo più difficile, ma più brutto della sua vita. É morta da poco più di due mesi la moglie Jenny. Assieme nel pieno dell’autunno umido e piovoso del 1881 avevano viaggiato da Londra a Parigi per l’ultima visita di Jenny, malata di cancro terminale, alla figlia maggiore, Jenny Caroline, che vive con il marito Charles Longuet ad Argenteuil. Le due Jenny hanno entrambe il cancro: al fegato la madre, alla vescica urinaria la figlia. L’incontro non è triste, anzi. La moglie di Marx è una donna solare che non perde mai il sorriso, la leggerezza e la voglia di scherzare. Karl e le due Jenny ricordano i momenti belli della loro vita trascorsa, il matrimonio, la nascita della prima figlia e degli altri. Sanno di volersi bene, di stimare quello che fanno e hanno fatto. Nel giro di poco tempo moriranno: Jenny a Londra il 2 dicembre 1881, Jenny Caroline l’ 11 gennaio 1883 ad Argenteuil, Karl sempre a Londra il 14 marzo 1883.

 

La visita dura pochi giorni, dopo il ritorno a Londra la moglie muore e Marx, oltre alla tristezza e al dolore, si ritrova con tutte le malattie polmonari possibili: pleurite, bronchite, polmonite. É talmente ammalato che non può partecipare ai funerali di Jenny. Termina il 1881. Le feste di fine anno senza la moglie sono deprimenti. Arrivano gennaio e febbraio del 1882, ma non c’è nessun miglioramento e i medici inglesi che lo hanno in cura consigliano un soggiorno ad Algeri dove il clima può aiutare la guarigione. Non sanno che gli inverni e anche gli inizi di primavera sono piovosi ed umidi, a volte perfino nevica. Sarebbe stato più opportuno consigliare il deserto del Sahara, dove il caldo secco è adatto a chi ha i polmoni malati. Anche Batna o Biskra sarebbero state più indicate di quella parte della costa algerina, ma gente che non si è mai mossa da Londra, Manchester od Edimburgo crede che l’Africa sia tutta sole e calore. Il parere dei medici inglesi vede d’ accordo Engels e i famigliari, anche loro ignoranti del clima di Algeri. A Marx non resta che partire.

 

In viaggio verso Algeri.

 

La partenza, dalla Gare de Lyon di Parigi, inizia male. Durante la notte il treno si rompe un paio volte, a Cassis e a Valence dove fa un freddo cane e tira vento. Marx tossisce disperatamente e l’unico rimedio è bere l’ acquavite che ha portato con sé. Riscaldato dall’alcool, uccide il tempo guardando una foto delle moglie morta da due mesi. Il ricordo di lei lo accompagna nel viaggio notturno. Jenny von Westphalen la più bella ragazza di Treviri, una bruna dagli occhi verdi «…nessun lavoro d’ arte è più bello di lei» così Karl scriveva al padre, nel lontano 1836. Mai la passione di Karl per Jenny diminuisce; nel 1842 scrive a un amico, Arnold Ruge: «Posso garantirvi, senza alcun romanticismo, che sono innamorato dalla testa ai piedi, e molto seriamente».

 

Ricordando la moglie, Marx pensa che il loro sia stato uno straordinario amore, che superò momenti di grande miseria,una vita nomade, un’espulsione dopo l’altra (Bonn, Parigi, Bruxelles, poi ancora Parigi e alla fine Londra), le difficoltà della lotta politica, il sacrificio di studiare e scrivere in condizioni difficili e con lutti terribili come la morte di tre bambini. La moglie gli ha dato 6 figli con nome e uno senza in una dozzina d’ anni. Uno ogni due anni, un “buon” ritmo di procreazione anche per quei tempi. Le figlie Caroline, Laura ed Eleanora sono ancora vive; Edgar, Henry Edward e Franziska sono i nomi dei 3 bambini morti. Marx ricorda anche il settimo figlio, nato e morto nel luglio del 1857 e rimasto senza nome, e Friedrich, amato come tutti gli altri, ma avuto da Elena Delmuth, chiamata anche Lenchen. Una donna bionda e robusta della campagna tedesca, che condivise con la famiglia Marx un lungo tempo di povertà nera senza voler mai essere pagata. Una di famiglia, una seconda mamma per i figli, un’amica per Jenny e un’amante per Karl con il quale fece quel bambino. Il sentimento che ora Karl sente è affetto, riconoscenza, ma non passione. Far l’amore con Lenchen non fu un tradimento, ma un gesto di calore in tempi di fredda miseria, che Jenny perdonò, anche se gelosa.

 

Il treno entra nella stazione Saint Charles di Marsiglia, il 18 febbraio 1882.

 

La nave postale, un battello a vapore di nome El Said, lascia il porto alle cinque e trenta del tardo pomeriggio e arriva ad Algeri il primo mattino di due giorni dopo. Trentaquattro ore per attraversare un Mediterraneo inquieto, con pioggia e vento. La cabina anche se di prima classe non permette a Marx di dormire una sola notte. Il mare è mosso, il ponte della nave affollato di passeggeri che fanno chiasso. Un giorno e mezzo pessimi che solo la gentilezza e la simpatia del capitano della nave, Macé, attenuano un po’.

 

Algeri.

 

La traversata burrascosa e il clima che trova, qualche grado sopra lo zero, non migliorano la sua salute. Ad Algeri dove arriva alle tre e trenta del primo mattino regna il freddo, come egli stesso scrive in una delle prime lettere a Engles: «il mese di dicembre è stato spaventoso ad Algeri, in gennaio ha fatto bello, a febbraio il tempo è stato freddo, anche umido, sono cascato nei tre giorni più freddi di questo mese: il 20, 21 e 22 febbraio».

 

Lo sbarco avviene di fianco allo stabilimento della pescheria vicino all’ammiragliato. Qui Marx trova ad accoglierlo con amicizia il giudice Albert Fermé,un amico di Paul Lafargue e Charles Longouet, i due generi. Fermé, che è in esilio per aver partecipato alla Comune di Parigi, lavora al tribunale locale. Il nuovo amico lo aiuta trovare il primo albergo. Dal molo risalgono una rampa dal pendio dolce si immettono nel lungomare che fra poco sarà chiamato Boulevard de La Republique e oggi Boulevard Che Guevara. Le Grand Hotel d’Orient si trova su questo viale in faccia al porto e al mare, vicino all’attuale municipio di Algeri Centro. L’hotel è di gran lusso e troppo caro. Quindi anche se gli offrono uno sconto si ferma solo due notti. Così scrive, sempre ad Engels: «Il pomeriggio del 22, il termometro annunciò un tempo favorevole e poiché dal giorno del mio arrivo in compagnia del buon giudice Fermé avevo trovato l’ Hotel Pensione Victoria, lasciai il Grand Hotel d’Oriente con i miei bagagli per una delle colline fuori le mura fortificate a est della città.Quando si lascia Algeri prendendo rue d’ Isdly, si ha davanti a sé una lunga via; da un lato vi sono ai lati della collina delle ville moresche, circondate da giardini (una di queste è la Pensione Vittoria) dall’altro lato la strada ha ai suoi bordi edifici disposti a terrazza fino al piede del pendio. Tutto l’insieme si chiama Mustapha Superiore. Mustaha inferiore inizia a fianco di Mustapha superiore e si estende fino al mare».

 

Marx racconta la sua permanenza ad Algeri in un epistolario che invia al suo amico e compagno Engels, al genero Paul Lafargue e alle figlie. Tutta la corrispondenza si trova nelle «Lettres d’Alger et de la Cote d’ Azur» (Edizioni Le Temps des Cerises, Parigi 1997) che sono la base sicura per una ricostruzione storica di cosa ha fatto in quei due mesi e mezzo. Le lettere da Algeri sono 16. Il merito di averle raccolte in un volume e fatte pubblicare va a Gilbert Badia, uno storico germanista, morto nel 2004, che ha scritto e lavorato molto su Marx ed Engels. Fra l’ altro, assieme a P. Bange ed Émile Bottigelli, è autore di una raccolta su tutto quello che i due hanno scritto sulla religione.

 

Naturalmente Marx non racconta e non vuole raccontare tutto. Vi sono cose che lascia nell’ombra e che io provo a immaginare nel mio racconto «Karl Marx ad Algeri, una odissea solitaria». Vi sono anche lettere che mancano. Ne è testimone la figlia Eleanor che scrive a Wihelm Liebknecht: «D’ Algeri, mi scriveva delle lunghe lettere. Molte di queste lettere le ho perdute perché, su sua richiesta le ho inviate a Jenny. Lei me ne ha ritornato molto poche».

 

Nelle lettere riferisce quello che il giudice Fermè racconta delle ingiustizie del regime coloniale francese, con condanne a morte e torture per casi di furto. Commenta anche la presenza di proprietà comunitaria nella società berbera in Kabilia, convinto che quando in Europa la classe operaia vincerà questi popoli potranno passare direttamente al comunismo senza vivere una fase capitalista. Ma la sua descrizione di Algeri è innanzitutto fisica: racconta le persone che incontra e luoghi che visita, la Casbah, la città francese, le colline dei dintorni, il Jardin d’Essai.

 

Descrive quello che vede dalla finestra della Pensione.«Qui, la situazione è magnifica, davanti alla mia camera la baia del mare mediterraneo, il porto di Algeri, alcune ville disposte ad anfitrato che si arrampicano sulle colline… più lontano delle montagne, tra le altre le cime nevose, dietro il Matifou, delle montagne della Kabilia, le punte aguzze del Djoura… Il mattino verso le otto, niente di più esaltante che il Le Grand Hotel d’ Orient panorama, l’ aria, la vegetazione,questa mescolanza meravigliosa europea – africana».

 

Tra le persone che conosce, oltre il giudice Fermè e la sua famiglia, vi sono i padroni della pensione, la signora Casthelaz e il figlio Maurice, il personale di servizio, il medico curante, dottor Stephann, e una giovane donna, rimasta senza nome. Di lei c’è una foto certa, un bel viso con occhi neri e penetranti. Si sa che è tedesca, originaria di Dessau, è ammiratrice di Auguste Bebel, di cui ha letto «La femme et le socialisme». Marx prova simpatia per la ragazza che gli ricorda una delle figlie, la minore. Le parla e lei ascolta, forse è una informatrice messagli alle costole dal Consolato prussiano in Algeria al quale lui si guarda bene di annunciarsi. Sembra sia lei che accompagna Marx nelle passeggiate in città. In una di queste incontrano un pittore che sta dipingendo uno scorcio della Casbah, un arco e una salita. Dalla descrizione, volto emaciato con barba è Auguste Renoir. I due non si riconoscono né parlano del motivo della loro presenza ad Algeri. Marx è lì per guarire. Renoir da buon orientalista è in città per dipingere l’Oriente e per caso incrocia il meno orientalista fra gli europei. A Marx non sfuggono altre cose come l’ importanza dei caffè moreschi (dove il caffè è eccellente) e la vita coloniale la cui ineguaglianza vede direttamente nella vita della città, dove il bianco francese è un privilegiato e l’algerino cittadino di seconda se non terza categoria.

 

Marx trascorre ad Algeri settantadue giorni, la lascia il 2 maggio 1882 sul battello a vapore La Pelouse. Sulla banchina a salutarlo sono Charles Fermé con la famiglia ed il dottor Stephann.

 

Verso Montecarlo.

 

La traversata è in un mare agitato, la destinazione è La Costa Azzurra. Cannes la prima tappa, dove resta solo pochissimi giorni in uno stato di salute miserevole. L’8 maggio si trasferisce a Montecarlo dove vegeta un mese. Lo prende in cura un medico – Kunemann – che oltre a diagnosi non ottimiste sulla salute lo sottopone a trattamenti poco piacevoli. Scrive a Engels di voler nascondere alle figlie le sue condizioni di salute per non allarmarle. Oltre al medico e a coloro con i quali condivide i pasti, le sue relazioni sociali sono quasi nulle. La gente che incontra ha solo in testa il gioco d’azzardo che è la vita stessa della città principato. L’attenzione di Marx si rivolge quindi verso il Casinò di Montecarlo e al banco del gioco, una vera e propria base finanziaria della trinità ovvero potere politico, governo, Stato.

 

Dalla figlia Jenny Longuet.

 

Marx si ritrova per l’ultima volta con le figlie Jenny e Laura, i due mariti e i quattro nipotini. Tranquillo, ma ricco di dissapori. Marx si lamenta che il ritmo di vita (8.30 di mattina toilette, colazione, vestirsi, 9 a Enghien e ritorno a mezzogiorno per il pranzo, siesta tra le 2 e le 4 pomeriggio, poi passeggiata con i nipotini, cena alle 8 di sera) non gli lascia il tempo di lavorare e prender cura della corrispondenza. Il colmo arriva l’ultimo giorno, quando Longuet lo convince ad avere un colloquio con il traduttore francese de «Il Capitale». Così scrive: «C’era un vento freddo che arrivava da nord-est e la mia forzata conversazione con il povero Roy avvenne in giardino e mi fece prendere un raffreddore. Grazie Longuet».

 

Sul lago di Ginevra.

 

Assieme alla figlia Laura, da Argenteuil va a Vevey sul lago di Ginevra. Una noia totale. Quando escono in barca sul lago, Karl parla alla figlia della continuazione della sua opera principale. Nel confitto che la vedrà opposta ad Engels, Laura fa riferimento a queste conversazioni con il padre per accampare il diritto a lavorare sui manoscritti del padre, il libri II e III di «Das Kapital».

 

Ritorno a Londra.

 

Ad Argenteuil e sul lago di Ginevra le condizioni di salute di Marx migliorano. Torna a Londra e poco dopo, per sfuggire la nebbia di novembre, si rifugia nell’isola di Wight: «Qui si può passeggiare per delle ore godendo dell’aria di montagna e di quella di mare» scrive a Engels l’ 8 novembre 1882. Vi aveva già soggiornato sempre per ragioni di salute anni prima, ma ora Ventnor è la sua ultima stazione. In una casa vi è una placca che ricorda il passaggio di Marx. L’ 11 gennaio 1983 muore di cancro Jenny, a soli 36 anni. Ed è Tussi, la figlia minore, che dà l’ annuncio: «Sentivo che portavo a mio padre l’avviso di morte. Recandomi da lui, l’angoscia mi stringeva il cuore e mi torturavo lo spirito cercando il modo di dirglielo. Non ebbi bisogno di parlare, il mio viso mi tradiva. Disse subito: La nostra piccola Jenny è morta». Il giorno dopo è a Londra nella casa di Maitland Road al 41. Le ultime settimane passano in fretta e sono piene di malattie: laringite, bronchite, un ascesso ai polmoni, disturbi intestinali, trattamenti giornalieri. Chi si prende cura di lui sono Engels, che vive a pochi passi, ed Helene Demuth che abita la stessa casa. I due hanno approcci diferenti. Lenchen, che è la madre di un figlio di Marx, conosce l’uomo, le sue manie i suoi umori. Sa come metterlo in riga, è la padrona di casa, colei che controlla che non ecceda nel bere o altro. Engels non sopporta questo atteggiamento protettivo. Per lui Marx è il genio autore de «Il Capitale» e con lui vuole parlare dei manoscritti che continuano il Primo Libro e giacciono in uno studio e in una biblioteca in disordine. Qualche bicchierino di acquavite in più per il suo vecchio amico sono niente ma per Lenchen tutto quello che può danneggiare la salute di Marx è inammissibile. Engels è fin troppo esigente quando vuole coinvolgere il suo compagno e amico nei lunghi dibattiti in preparazione del congresso del Partito Socialista Operaio di Copenaghen. Marx non si tira indietro e pensa di essere ancora l’uomo nel pieno delle forze che ha terrorizzato la borghesia europea.

 

Tutto finisce il 14 marzo alle 3 del pomeriggio quando Engels e Lenchen trovano Marx che sembra riposare in poltrona, ma è morto. Tre giorni i funerali: pochi vi prendono parte, una dozzina circa di persone. Tussi è assente, Laura e Lenchen sono in fondo al piccolo corteo, dopo gli uomini. La sepoltura della bara avviene nella parte del cimitero di Highgate destinata ai poveri che non possono pagare monumenti funerari. Karl è vicino alla sua donna Jenny von Westphalen, la bella baronessa che si innamorò del giovane ribelle. Sulla tomba sono poste due corone di fiori, una della redazione del «Socialdemocrata» e l’altra dell’Associazione operaia di Londra.

 

Nel mezzo dell’orazione funebre di Engels una frase colpisce:«Marx è stato soprattutto un rivoluzionario».

 

Nel 1956 le spoglie mortali di Karl, Jenny e Lenchen furono trasferite in una parte più rappresentativa del cimitero di Highgate. È lì che una domenica mattina piovosa di molti anni fa ho portato fiori rossi e fissato per un po’ Karl Marx negli occhi, quasi aspettassi una conferma che alla fine vinceremo.

 

 

L’ immagine che ho di Karl Marx è quella di un di un comunista e di un lupo. È possibile mettere il guinzaglio ai cani e perfino agli orsi, ma a un lupo mai. E’ possibile addomesticare, addestrare leoni e tigri ed esibirli nei circhi, ma lupi no. È possibile mettere la museruola a opportunisti ed esibirli nel grande circo della società borghese ma i comunisti mai. A volte sogno un lupo che ringhia, mostra denti affilati pronto ad azzannare qualcuno. Quando mi sveglio penso che il lupo sia Marx sul punto di fare a pezzi la società borghese.

 

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