25 Agosto 2014

Muri

C’era una volta il muro che divideva le due Berlino. C’è il muro del pianto a Gerusalemme, folto di devoti salmodianti vestiti di nero. C’è il muro di oltre 400 chilometri (saranno più di 700 quando sarà completato) che, a grandi pezzi non comunicanti e contorti in curve bizzarre, angoli retti o acuti, segmenta il territorio palestinese per rendere difficili, faticosi e umilianti gli spostamenti dei palestinesi e anche, secondariamente, per difendere i coloni da eventuali manifestazioni ostili palestinesi. C’è un forte rapporto simbolico fra muro e identità. L’identità, per prima cosa, deve tracciare dei confini fra l’identico e l’altro. In Palestina, questo si tocca letteralmente con la mano. Il primo muro, quello berlinese, era in fondo il più labile. Non voleva fissare un’identità etnico-religiosa, come il muro ebraico e il muro israeliano, ma solo impedire la fuga di cittadini di Berlino est verso Berlino ovest. Era un muro strettamente politico-poliziesco, anzi, negli ultimi tempi, assai più poliziesco che politico. Il muro del pianto è un muro della memoria mitologica, vissuto come il residuo dell’antico fondamentale tentativo di distruggere l’identità ebraica. Chi vi si reca a pregare riafferma la propria identità etnico-religiosa e territoriale, un tempo come nostalgia della Terra […]